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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Città del Messico, il giorno nero della Ferrari

Rosberg parte in testa, Hamilton decide di dargli una mano e quindi non lo attacca, la Ferrari si autodisintegra per gli errori dei suoi piloti. Il vincitore del Gran premio del Messico è noto dopo il primo giro. La coppia Mercedes ha stretto un patto di non belligeranza: Hamilton ha vinto il campionato del mondo, Rosberg deve arrivare secondo. L’unico che potrebbe sindacare, intromettersi e far saltare gli accordi è Vettel, che però sta per disputare la peggior gara dell’anno e forse della carriera.
La cattiva giornata di Vettel si vede alla prima curva, una botta (evitabile) a Ricciardo con conseguente foratura. Seguirà un testacoda a metà gara e si concluderà contro le barriere di protezione dell’autodromo intitolato ai fratelli Rodriguez. «Scusatemi, sono andato a sbattere, che fine settimana di m.» è il suo messaggio di scuse via radio. Giro 51, game over. Il secondo posto in classifica generale diventa una chimera, perché adesso Rosberg ha 21 punti di vantaggio e alla fine mancano soltanto due gare, a San Paolo e Abu Dhabi.
Il rammarico è grande pensando alla velocità della Ferrari. Doppiato da Rosberg dopo il pit stop, Vettel si è incollato al leader della corsa fino a quando i commissari di gara gli hanno sventolato sotto il naso le bandiere blu perché si facesse da parte, e lui finto ingenuo ha domandato spiegazioni.
La gara di Raikkonen è durata pure meno: al 22° giro, Bottas lo ha attaccato all’interno, Kimi ha resistito e la sua sospensione ha avuto la peggio. «Dopo l’incidente a Sochi mi aspettavo che prima o poi succedesse – è il suo commento -. Valtteri l’ha fatto apposta? Giudicate voi». Volontario o meno, Kimi potrebbe evitare l’autoscontro con un avversario che in quel momento era nettamente più veloce.
Lewis non attacca
Fuori le Ferrari, la giornata al box Mercedes diventa più riposante del solito, e la gara dei due piloti si trasforma in una gita domenicale. Hamilton finge di attaccare il compagno di squadra quando la gara è neutralizzata dalla safety car, ma si guarda bene dal forzare al momento dei pit stop. Ha un unico momento di ribellione quando lo chiamano ai box per un secondo cambio gomme. «Spiegatemi il perché», urla. Glielo spiegano e lui ubbidisce, il team ritrova la pace e sono tutti felici e contenti. Persino Rosberg, che solo una settimana fa avrebbe volentieri preso a male parole il compagno di squadra, sorride felice e si gode il primo successo nel nuovo Gran premio del Messico: «Un podio che mi ha fatto sentire una rock star», complimenti a chi lo ha progettato così e al pubblico che ha fatto un tifo da stadio che a tratti superava il rumore delle monoposto.
«Hat trick» per il vincitore
Per Rosberg è un hat trick, (pole, giro veloce e vittoria), per la Mercedes la nona doppietta stagionale, per la Ferrari una Caporetto inaspettata. «Una lezione di umiltà», la definisce il team principal Maurizio Arrivabene, ovvero «tutto quello che non si deve fare. Ci serva di lezione». Poi, aproposito delle scuse in diretta chieste da Vettel: «Sebastian non si deve scusare, così come noi non ci scusiamo con lui quando commettiamo errori. Oggi i piloti hanno sbagliato più del dovuto, ma per toccare il cielo con un dito bisogna anche finire per terra».
Fine della lezione. La Formula 1 riprenderà tra due settimane in Brasile a giochi chiusi anche per il secondo posto. Per la Ferrari questo finale di stagione diventa un test per la prossima stagione e un modo per valutare il lavoro fatto fin qui per avvicinare la Mercedes. La gara di ieri ha dato l’impressione che i distacchi siano diminuiti sul giro di qualifica e il ritmo gara fosse simile. Ma è un calcolo teorico: priva di avversari, la Mercedes non ha mai avuto bisogno di spingere.