Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Le banche centrali hanno esaurito le munizioni

Da giganti a pigmei: il viaggio delle banche centrali negli ultimi anni ricorda quello di Gulliver. C’era una volta un gruppo di banchieri con un ruolo fondamentale nel capitalismo mondiale. Durante la recessione causata dal terremoto finanziario del 2008-2009, Ben Bernanke, Mario Draghi e i loro colleghi in Giappone e in Cina salvarono l’economia mondiale dal baratro della Depressione e passarono alla storia.
Come Gulliver a Lilliput, quei banchieri divennero dei giganti, più importanti e famosi di primi ministri ed economisti, trader e capitani d’industria. Oggi, invece, sono piccini piccini, senza un piano d’azione nuovo, circondati da nemici e incapaci ad agire, come il protagonista dell’opera di Jonathan Swift tra i colossi di Brobdingnag.
Janet Yellen, che ha preso il posto di Bernanke alla Fed, Draghi alla Banca Centrale Europea e Haruhiko Kuroda, il capo della Banca del Giappone, sembrano smarriti, incapaci di convincere i mercati e le economie a seguire gli ordini delle loro politiche monetarie.
In pochi anni, siamo passati dall’era dell’onnipotenza all’epoca dell’impotenza delle banche centrali. Lo si è visto chiaramente questa settimana, quando una tentennante Fed ha segnalato ai mercati di voler finalmente alzare i tassi a dicembre ma con l’ambiguo ammonimento che tutto dipenderà dai dati economici. Sull’altra sponda dell’Atlantico, l’umore è simile ma la direzione è opposta: la Bce mormora che sarà costretta a continuare a stimolare un’economia europea ancora in pericolo di recessione.
I mercati sono agitati perché non sono convinti dell’efficacia delle banche centrali e stanno incominciando a dubitare dei loro poteri. Come ha scritto su Bloomberg Mohamed El-Erian di Allianz, uno degli economisti più lucidi del momento: «Le parole della Fed hanno fatto poco o niente per spostare il mercato dall’ossessione con i tempi del primo rialzo dei tassi e verso una visione più ampia» delle politiche monetarie. È vero che anche durante l’epoca d’oro i giganti della Fed e compagnia avevano le mani legate dalle critiche di politici, giornalisti e cittadini (un po’ come Gulliver). Ma senza Bernanke e i suoi – e i loro tassi d’interesse bassissimi, il loro stimolo dei mercati finanziari e immobiliari e i salvataggi di banche e compagnie d’assicurazioni – le conseguenze della crisi sarebbero state apocalittiche. Lo spiega proprio Bernanke nelle sue memorie, intitolate non a caso: «Il Coraggio di Agire». «Sapevamo che se avessimo agito, nessuno ci avrebbe ringraziato ma se non avessimo agito, chi si sarebbe mosso?».
Domanda retorica che giustifica un po’ tutto: dalle battaglie vinte – ridurre la disoccupazione, salvare il mercato delle case, tenere insieme il sistema finanziario – a quelle perse – lasciar fallire Lehman Brothers, usare centinaia di miliardi dei contribuenti per ricapitalizzare le banche e gonfiare una bolla speculativa sia nel mercato azionario sia in quello delle obbligazioni.
Ma questo è il passato. Quello che rimane oggi è un dibattito agguerritissimo sul ruolo di banchieri indipendenti dal potere politico ma non eletti da nessuno. Lo si sente soprattutto in America, Paese visceralmente federalista e sempre preoccupato di non accentrare potere in enti statali.
Da destra, candidati presidenziali repubblicani quali Ted Cruz e Rand Paul vogliono sottomettere la Fed a più controlli governativi, soprattutto da parte del Parlamento. «La banca centrale è stata creata dal Congresso e deve essere sorvegliata dal Congresso», dice spesso Paul. Ma da sinistra, guru economici come Larry Summers – vicino sia a Obama sia a Bill e Hillary Clinton – chiedono che la Fed faccia di più. Non solo che non alzi i tassi ma che riprenda a stimolare l’economia come la Bce, magari in tandem con spese governative.
L’ex segretario del Tesoro parla di «ristagno secolare», un lunghissimo periodo di paralisi economica in cui l’America sta crescendo poco o nulla. Chi ne soffre di più, secondo Summers, sono le classi medio-basse – un fenomeno che aumenta le già enormi sperequazioni sociali Usa e che esacerba i dissidi sociali tra ricchi e poveri, bianchi e neri, polizia e cittadini e così via. Il filo conduttore tra chi vuole imbrigliare la banca centrale e chi ne vuole aprire i cordoni della borsa è che entrambi pensano che la Fed sia il deus ex machina dell’economia.
Ma la realtà è che la Fed, la Bce e la Banca del Giappone stanno esaurendo le munizioni: i tassi sono già a zero, tutto lo stimolo immaginabile è stato utilizzato, i messaggi ai mercati sono stati mandati. Che altro possono fare Janet, Mario e Haruhiko? Nel luglio 2012, Draghi salvò l’euro da una tempesta dei mercati con le famose parole: «La Bce è pronta a fare tutto il possibile». Tre anni e mezzo dopo, il possibile, e anche l’impossibile, è stato fatto. Se le economie ancora non ripartono, tocca ad altri prendersi la responsabilità.
Consumatori che non spendono, aziende che non assumono, politici che non decidono. Sono questi i veri colpevoli dell’attuale stasi economica. I mercati ancora non l’hanno capito e rimangono fissati sulle decisioni della Yellen e dei suoi colleghi. Ma anche se la Fed alza i tassi a dicembre e diverge dalla Bce «stimolatrice», i fondamentali dell’economia Usa e di quella europea non cambieranno.
Forse, come canta Francesco De Gregori, la storia non passa la mano ma le banche centrali sì. È venuto il momento di smammarsi dagli aiuti para-statali e far sì che altri – aziende, consumatori, politici, tecnologia – prendano il timone dell’economia mondiale.
Investitori, politici e commentatori devono accettare il nuovo paradigma.