la Repubblica, 2 novembre 2015
Ellen Page, l’attrice gay che per ora fa suolo ruoli gay (Freeheld)
L’orgoglio del coming out ha il volto bello e determinato di Ellen Page. Ex bambina prodigio, il debutto a 11 anni, è stata mutante nella saga kolossal degli X- Men, poi adolescente incinta nella commedia Juno, ruolo che le è valso una candidatura all’Oscar, quindi architetto per Christopher Nolan in Inception. A febbraio dello scorso anno la giovane canadese ha dichiarato di essere gay durante il gala annuale dell’Associazione Human Rights Campaign. Alla Festa di Roma che si è appena chiusa ha accompagnato da produttrice e interprete Freeheld, film sulla lotta per i diritti degli omosessuali in sala da giovedì. È la storia vera, già raccontata nell’omonimo documentario Oscar, della detective del New Jersey Laurel Hester: malata di cancro (sarebbe poi morta nel 2006) la donna si batté perché la sua pensione andasse alla giovane compagna Stacie Adree.
Incontriamo Ellen Page, 28 anni, in un albergo romano vicino via Veneto, otto anni dopo il Marc’Aurelio vinto per Juno. Fisicamente è sempre la stessa, il corpo esile e il volto dai tratti infantili, ma nello sguardo si leggono una consapevolezza e una maturità nuove.
Ellen, la storia di Laurel e Stacie ha influenzato in qualche modo la sua decisione di fare coming out?
«Di certo il loro gesto straordinario mi ha colpito nel profondo. Hanno compiuto una battaglia importante, sono riuscite a far sì che la Corte Suprema del New Jersey riconoscesse alle coppie gay gli stessi diritti di quelle eterosessuali. Quando ho visto per la prima volta il documentario sulla loro storia ho pianto molto, mi sono arrabbiata per quello che hanno dovuto passare. Quando Stacie ha visto il film e si è commossa è stato un momento bellissimo».
La sentenza dello scorso giugno della Corte Suprema ha cambiato le cose.
«Sì ed è incredibile come tutto stia cambiando rapidamente. Ma è triste che in 31 stati ancora oggi tu possa essere licenziato, o vederti rifiutare la casa, perché sei gay o trans. A Los Angeles anni fa se scoprivano che eri omosessuale ti prendevano a botte. I miei genitori e i miei amici mi hanno sempre sostenuto, ma nascondermi mi impediva di stare bene con me stessa, mi faceva sentire triste e piena di paura. Essermi dichiarata mi ha reso libera. Posso frequentare la donna che amo in piena luce grazie alle lotte di chi è venuto prima di me. Essere un riferimento visibile per i ragazzi che lottano e si sentono discriminati».
Il prossimo passo negli Stati Uniti?
«La libertà federale. Dobbiamo ottenere gli stessi risultati in tutti gli stati e per farlo bisogna soprattutto far conoscere qual è la situazione. Molta gente è convinta che questa uguaglianza nello stato in cui vive ci sia già e spesso è scioccata quando scopre la verità».
In Italia non c’è ancora una legge sulle unioni civili che riconosca diritti anche alle coppie gay.
«Arriverà. Il mutamento è inevitabile, in Canada i matrimoni gay esistevano già, in America si sono fatti grandi passi. E più persone escono allo scoperto nella vita quotidiana, meno spazio resta all’omofobia: ci si accorge che è gay l’insegnante che si stima tanto, la farmacista paziente, il commesso della libreria».
Ora che farà?
«Ancora una storia vera, Lioness, sarò una soldatessa dei marine, omosessuale, che lotta per la dignità delle donne afghane e deve affrontare gli ostacoli dell’ambiente militare. E poi Kate Mara, una mia cara amica con cui ci siamo divertite a fare la nostra parodia di True detective, mi ha dato una bella sceneggiatura, una storia d’amore che produrremo e reciteremo insieme».
Non teme di essere etichettata in ruoli gay?
«Finora non è stato così. A nessun eterosessuale si chiede se teme di essere etichettato nei ruoli etero. Sono libera di interpretare personaggi gay e non: bisogna allontanarsi da questi vecchi ragionamenti che sono figli di una società omofobica».
Il suo sogno?
«Somiglia a quello di Stacie: avere accanto una persona da amare, una casa, un cane».