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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Giulio Donati, l’italiano del Leverkusen. Intervista

THIAGO? «Sì, è lui, è uno dei marziani». Giulio Donati, esterno italiano del Bayer Leverkusen, 25 anni, di Pietrasanta, il figlio più grande di Mazinho non se lo scorderà mai più: «Quel giorno a Gerusalemme ci fece uscire gli occhi dalle orbite e il cuore dal petto». Era la finale dell’Europeo U21, l’Italia di Devis Mangia perse 4-2, Thiago ne fece tre, molti restarono a bocca aperta: «Io fra loro». Giulio giocava nel Grosseto. Non sarebbe venuto nessuno a chiedere di lui dalla Germania, «nemmeno fossi stato Cafu». Se Mangia non lo avesse voluto titolare in quel torneo Giulio non si sarebbe mai trovato nella necessità, per esempio, di cercarsi una casa a Colonia, lui e la sua ragazza. «Devo tutto al mister Mangia, quel torneo è stato l’inizio di un’altra vita».
Ma l’approccio non fu semplicissimo.
«No, per niente, malgrado fossero stati loro a volermi, mediante gli osservatori, percepivo diffidenza, in fondo ero un ragazzo italiano di 23 anni che aveva collezionato 28 presenze in serie B».
Insomma nel suo curriculum, come avrebbe detto Nino Manfredi, c’era poco da leggere...
«Arrivai a fine luglio, in ritardo rispetto agli altri. Le paure che non fossi all’altezza si diradarono subito. Il mister Hyppia (ex centrale difensivo del Liverpool di Benitez, ndr) mi fece sentire a casa, e così Voeller, eccezionale. C’era anche uno psicologo del club che faceva da traduttore. Andò a finire che alla prima di campionato ero già titolare e famoso tra i tifosi perché involontariamente, fidandomi del traduttore di Google, avevo coniato uno slogan: “Stärke Bayer”. In realtà volevo scrivere Forza Bayer. Prima della fine della stagione Hyppia venne esonerato, arrivò Lewandowski, per poco, poi Schmidt».
Schmidt ha la fama di essere “affamato” di calcio.
«E anche spietato, ma corretto e vero. È uno che vuole sempre attaccare, che pratica come Klopp il “gegen-pressing”, e a modo suo rincorre una forma di bellezza che paghi anche in classifica. Sul 2-0 contro la Roma abbiamo continuato ad attaccare. Può sembrare assurdo, magari, ma è così».
Cultura diffusa in Germania.
«Parte dal basso, dalle scuole calcio e quando arriva ai piani alti non è mutata di una virgola. Guardiola e Thiago sono perfetti nell’etica del calcio tedesco».
Lei però lo scorso anno era in rotta con Schmidt.
«Preferiva altri, li vedeva più in forma di me. Così mi sono guardato in giro, niente di serio, ma un’occhiata fuori l’ho data».
E cos’ha visto? Un ritorno in Italia?
«Sinceramente no. Piuttosto ho immaginato la Premier e non posso nascondere che la Major League Soccer mi intriga».
Di cos’è fatto l’enorme solco che separa calcio italiano e calcio tedesco?
«Troppe cose, anche invisibili, oppure sotto gli occhi di tutti come quest’abitudine a stazionare poco nella propria metà campo, ad accorciare per “cultura” sui terzini avversari. Oppure come l’esasperazione della tattica: da noi meno della metà di quella italiana».
E fuori dal campo?
«Sembrano due mondi antitetici, forse sono solo complementari. Qui c’è più mentalità, che chiamerei educazione. Qui lo sport è un bene pubblico, non privato. E quando sorgono dei problemi li risolvono, punto e basta. Non li trascinano, non fanno finta di sparecchiare. Meno pressione e stadi pieni. Conviene, no?».
Ma forse meno passione.
«Non direi. È che ogni emozione ha i suoi luoghi e soprattutto i suoi tempi. Giocare a calcio in Germania è come essere degli attori di teatro: quando reciti il pubblico è caldo, vicino, partecipa, si emoziona. Ma quando lo spettacolo finisce il teatro si svuota e tutto finisce. Ogni tanto nel nostro calcio c’è persino un po’ di silenzio...».
Chi sono i maestri del calcio?
«Quelli come Sacchi che insegnano a diventare persone universali prima ancora che calciatori universali. La visione più ampia va sperimentata nella vita e poi applicata in campo».
Con la Roma dopodomani?
«Possono cambiare le partite in ogni momento. Ma non possiamo snaturarci nemmeno all’Olimpico. I giochi sono aperti».
All’Inter da ragazzo fu sotto Mourinho.
«Mi ha lasciato tanta umanità, ho giocato un ottavo di Coppa Italia, ma ero un primavera, tatticamente l’ho appena sfiorato».
Tifa per qualche squadra italiana?
«Nessuna, mi piacevano Del Piero e Ronaldo».
Ha amici con cui esce la sera nel Bayer?
«Sì, Bellarabi e Çalhanoglu».
E che fate?
«Di solito mangiamo un botto di sushi».