Corriere della Sera, 2 novembre 2015
Nessuno spiega bene la politica estera come la serie tv “Homeland”
Guardando la prima puntata della nuova stagione di «Homeland», iniziata su Fox, si ha l’impressione che non esista al momento un talk show o un approfondimento televisivo capace di spiegare la complessa realtà dei conflitti in Medio Oriente così bene come questa serie, ideata da Howard Gordon e Alex Gansa (creatori del telefilm culto «24»).
Come ha scritto sul Foglio Paola Peduzzi, «gli autori di “Homeland”, la serie tv sulla Cia, sono i massimi esperti di politica estera del mondo. In poche battute riescono a spiegare ogni crisi, e lo fanno con una chiarezza tale che non si capisce perché Obama non li abbia ancora sistemati a tempo indeterminato nella situation room».
Nelle prime tre stagioni, la relazione tra Carrie (Claire Danes), geniale agente della Cia affetta da disturbo bipolare, e il marine traditore Brody è stata il vero cuore del racconto. Poi, la serie ha saputo cambiare registro, diventando via via più convincente: attraverso un re-boot, un cambio completo dell’ambientazione spostata dagli Usa al Pakistan, Carrie ha guadagnato il centro della scena, insieme al suo mentore Saul.
L’attenzione della serie a temi di geopolitica si è fatta più forte, in una rincorsa a raccontare fatti ispirati dalla più stretta attualità. All’avvio della quinta stagione, la scena si sposta a Berlino per seguire Carrie, che ha lasciato la Cia per un incarico presso una fondazione privata, alla ricerca di un’esistenza più quieta e «normale». Ma una forza centripeta sembra attirarla costantemente verso il pericolo, portarla senza sosta al centro degli eventi più decisivi.
È così che «Homeland» ci mette coraggiosamente a confronto con tematiche cruciali: la legittimità della violazione della privacy per proteggere i cittadini dal terrorismo, i pericoli di una guerra che l’Occidente combatte con un nemico pervicace quanto sfuggevole, e infine la fragilità della vecchia Europa sotto attacco per la minaccia dell’Isis.