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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Lance Armstrong cominciò a drogarsi per vincere già nel 1993

Eritropoietina? Yes. Testosterone? Yes. Ormone della crescita? Yes. Trasfusioni di sangue? Yes. Due anni fa, di fronte a Oprah Winfrey, Lance Amstrong illustrò l’ampio repertorio farmacologico che gli permise di vincere sette Tour. Il texano però circoscrisse i peccati: dal 1999 al 2005, negando trasgressioni di gioventù.
Mentiva. Al suo repertorio d’imbrogli si aggiungono quelli ammessi la settimana scorsa in uno dei processi che stanno svuotandogli il portafoglio, portato avanti congiuntamente da Us Postal Service (il servizio postale di Stato, a lungo suo sponsor) e dall’ex compagno Floyd Landis. L’episodio risale al 1993: il texano aveva 22 anni, un palmares ancora minuscolo, un ego già smisurato. La federazione ciclistica americana offrì un milione di dollari a chi avesse vinto in una sola stagione tre grandi classiche. Sfida impossibile: le corse (la Thrift Drug Classic e la CoreState in linea e la K.Mart, a tappe) erano adatte a corridori con caratteristiche del tutto diverse tra loro. Armstrong smentì le leggi della fisiologia e incassò il mega assegno sul palco di Philadelphia.
Di quella vittoria si chiacchierò molto, ma senza seguito. Fino a quando, nel dicembre 2013, il Corriere della Sera rintracciò uno per uno gli italiani presenti all’ultima gara. Erano professionisti del team Mercatone Uno in cerca di fortuna negli Usa. Roberto Gaggioli, il favorito: «Lance mi disse che voleva vincere a Philadelphia. Promise 100 mila dollari e rispettò i patti. Ricevetti i soldi pochi mesi dopo, in Italia. Bussò alla mia camera d’albergo con un panettone in mano. Era maggio. Mi augurò merry Christmas ridendo. Dentro c’era il denaro in contanti. Lo divisi con la squadra e il personale. A me ne rimasero 10-12 mila». Simone Biasci, il più veloce: «Ero in fuga con Lance e altri azzurri. Lui trattò con Angelo Canzonieri: guadagnammo più noi in un giorno che i nostri compagni in tutto il Giro d’Italia». Roberto Pelliconi: «Canzonieri e Lance si misero d’accordo per 50: Angelo pensava dollari, Lance lire. Ci diede 50 milioni, risparmiando il 40% col cambio favorevole». Massimo Donati: «Ero giovane, non feci domande. Mai più guadagnato così tanto in una corsa».
Con la traduzione dell’articolo del Corriere sul tavolo del procuratore federale, incalzato da Paul Scott, uno dei legali di Landis, Armstrong ha ammesso la combine, spostando parte delle colpe sul direttore sportivo dell’epoca, Jim Ochowicz: «Credo sia stato Jim, assieme a Phil Anderson, a negoziare l’affare con la Coors Light, una delle squadre avversarie. Fu lui stesso a dirmelo». Poi Lance ha risposto con un secco «sì» alla domanda di Scott, che gli chiedeva se anche alla Coors Light fosse stato, in pratica, chiesto di rinunciare a fare la corsa. Ochowicz, oggi team manager dello squadrone BMC, nega: «Conosco la storia, ma personalmente non c’entro nulla».
Lo scopo del processo è dimostrare che la continuità dei comportamenti fraudolenti di Lance Armstrong l’ha portato a compiere un «False Claim Act», una frode contro lo Stato federale. Reato pesante: l’entità dei risarcimento è stimata tra i 35 e i 100 milioni. Ce ne vogliono di Million Dollar Race per pagarli tutti.