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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Un lettore del Corriere spiega bene la questione della legittima difesa e della vittima di un furto che uccide per difendersi

La vicenda di Vaprio d’Adda dove giorni fa un pensionato ha ucciso un albanese che stava tentando di entrare (o era entrato?) nella sua villetta, sembra destinata a far discutere. Restando sul piano strettamente giuridico va ricordato che la legittima difesa costituisce una esimente, per la quale (art. 52 cod. pen.) non viene punito chi ha ferito o ucciso «per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». Il criterio della proporzionalità tra difesa e offesa costituisce il metro di giudizio per valutare la liceità della condotta di chi agisce. Ad esempio, se X riceve uno schiaffo dal suo aggressore non ha il diritto di reagire sparandogli un colpo di pistola in quanto non c’è proporzionalità tra le due azioni; analogamente, se Y investe leggermente sulle strisce bianche il pedone X e questi reagisce ingiuriandolo e picchiando con forza sul cofano dell’auto danneggiandola, non è lecito da parte di Y travolgere il pedone causandogli gravi lesioni personali o la morte. Sussiste invece chiara proporzionalità esimente nel caso in cui, Tizio, rientrando a caso viene assalito sul portone da un rapinatore armato che minaccia di ucciderlo: se Tizio estrae a sua volta la pistola e ferisce o uccide il rapinatore è evidente che agisce in stato di legittima difesa, proporzionata alla offesa ricevuta, contro un pericolo attuale che minaccia la sua vita. Nel 2006 l’art. 52 C.P. fu modificato nel senso che «si presume» sempre la proporzione tra offesa e difesa ove un aggressore penetri con la forza nel domicilio o nel negozio, nello studio professionale o nei locali dell’impresa e venga ferito o ucciso da chi, al suo interno, sia minacciato o aggredito. Tuttavia, anche in queste ipotesi deve sempre trattarsi di una offesa attuale, cioè tangibile, che renda inevitabile l’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità (v. Cassazione n.50909/2014). Così pure non sussiste il requisito della necessità di una reazione armata se l’aggredito possa, senza difficoltà, rifugiarsi nella propria abitazione dalla quale invocare soccorso, o comunque allontanarsi dal luogo dell’aggressione armata (v.Cassazione n.4890/2009), o nel caso in cui il ladro, vistosi scoperto, desiste e scappa. Al di fuori dello schema della legittima difesa ordinaria si configura la «legittima difesa putativa» (o eccesso colposo) che ricorre quando il soggetto, per errore nella percezione della realtà, sia giustificatamente convinto di trovarsi esposto a un pericolo presente (cioè non futuro o ipotetico ma reale), di una offesa ingiusta, e reagisce. E tuttavia un semplice stato d’animo di paura, da solo non basta a giustificare l’errore occorrendo dati di fatto concreti, tali da indurre all’erroneo convincimento di trovarsi in una situazione di grave, immanente pericolo. Nell’episodio di Vaprio d’ Adda il Pm ha ipotizzato – per ora – l’omicidio volontario, una tesi da verificare alla luce dei principi sulla legittima difesa, tenuto conto della situazione dei luoghi, della posizione del pensionato (nella cui casa non sarebbero state trovate tracce di sangue) e quella del potenziale aggressore, nonché del concreto verificarsi di un pericolo imminente e non altrimenti eliminabile se non con l’uso di quell’arma. Nicola Ferri, nicola-ferri@libero.it