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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Vandali nel cimitero di Hammangi, a Tripoli sono rimasti appena otto italiani

I vandali tornano ancora a profanare le tombe del cimitero italiano di Tripoli. Muri sbrecciati, forzate due o tre delle pesanti porte interne, alcune lapidi marmoree degli ossari infrante con oggetti contundenti. «Purtroppo non è la prima volta, è un destino amaro e ripetuto», dichiara da Roma Giovanna Ortu, presidente dell’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia. Non è chiaro quando sia avvenuto. Ormai l’intero complesso cimiteriale, costruito nel 1954 su disegno del noto architetto Paolo Caccia Dominoni, risulta quasi del tutto abbandonato a se stesso. Sino a qualche tempo fa se ne occupava il 78enne Bruno Dalmasso, di origine ligure, ma vissuto lungo tempo in Eritrea, prima di trasferirsi a Tripoli nel 1975. Due anni fa, questi raccontava che il cimitero, completamente restaurato dopo gli accordi Gheddafi-Berlusconi prima delle rivolte del 2011, conteneva «i resti di 8.000 italiani tra tombe e ossari». Ma adesso gli italiani in Libia si contano sulle dita di una mano. Le ultime partenze rilevanti sono avvenute dopo la chiusura dell’ambasciata italiana nella capitale a febbraio. Ad agosto un’anziana incontrata nella cattedrale latina (non lontana dagli uffici dell’Eni) parlava di «al massimo otto italiani rimasti in città e praticamente tutti sposati con persone di nazionalità libica». Tra gli italiani più noti è il vescovo cattolico, Giovanni Innocenzo Martinelli, che però è malato. «Resta perché è nato qui ed è legatissimo a questo Paese ma ormai non celebra più la messa», ci ha spiegato il sostituto. È quel che resta di quella che una volta era la fiorente comunità italiana di Libia. Ville chiuse o presidiate da guardiani locali che ne stanno diventando de facto i nuovi proprietari, ditte serrate, uffici semi abbandonati nel centro.
Così lo storico cimitero di Hammangi, a un tiro di schioppo dal quartier generale di Gheddafi a Bab al Azizya oggi ridotto in macerie, assurge a simbolo della decadenza italiana nel Paese. «Sono appena stato sul posto. Tutto era serrato. Faceva paura entrare tra gli ossari. Non ho visto alcun guardiano, neppure l’ombra di un poliziotto o miliziano», spiegava in serata il collaboratore locale del Corriere. È questa almeno la terza volta che il luogo viene profanato. La prima fu ai primi del giugno 2011, quando la guerra infuriava. Poi, il 21 gennaio 2014, il vandalismo più grave: fu ucciso un guardiano egiziano, distrutti documenti, date alle fiamme due costruzioni e infrante una decina di lapidi.