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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

Erdogan ha vinto le elezioni turche. Non solo il suo partito Akp è arrivato primo, cosa di cui non ha mai dubitato nessuno, ma sfiorando il 50% dei consensi ha portato a casa la maggioranza assoluta dei seggi, 315 su 550

Erdogan ha vinto le elezioni turche. Non solo il suo partito Akp è arrivato primo, cosa di cui non ha mai dubitato nessuno, ma sfiorando il 50% dei consensi ha portato a casa la maggioranza assoluta dei seggi, 315 su 550. Se nel corso dello spoglio - che si sta svolgendo mentre scriviamo - le percentuali non cambieranno, Erdogan non avrà bisogno di nessun alleato per formare il governo. Gli serviranno tuttavia 15 voti per varare la riforma della Costituzione, obiettivo che persegue dallo scorso giugno.

Che cosa è successo lo scorso giugno?
Il Paese aveva votato e il partito di Erdogan aveva ottenuto appena il 40,9 per cento dei suffragi, un flop se si pensa che dal 2002 in poi l’Akp ha sempre ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Lo smacco era particolarmente grave, perché il presidente turco puntava, e punta, a cambiare la Costituzione in senso autoritario, attribuendo una quantità di poteri a se stesso. Per far questo ha però bisogno di almeno 330 seggi. Con 330 voti e un referendum confermativo può cambiare la Carta del Paese. Le elezioni dello scorso giugno risultarono particolarmente sgradite perché riuscì a entrare in Parlamento anche il Partito dei curdi, nonostante uno sbarramento mostruoso del 10%. Caparbio come è, Erdogan ha fatto condurre per finta le trattative per un governo di coalizione. Passati i 45 giorni concessi dalla regola di quel Paese per formare un gabinetto, ha riportato il Paese alle urne, in un clima di tensioni crescenti.  

Ieri ci sono stati scontri?
Sì, è in corso una mobilitazione specialmente da parte dei curdi, che forse sono riusciti (per un soffio) a superare lo sbarramento anche stavolta. Entreranno forse in Parlamento, ma conteranno poco o niente. E sanno che il presidente li vuole annientare. Erdogan qualche mese fa ha proclamato a gran voce che avrebbe bombardato le postazioni dell’Isis, e con questa scusa ha mosso invece la sua aviazione contro le basi curde, le basi cioè degli unici che a terra combattono davvero il Califfo. Del resto la politica turca verso lo Stato islamico è stata sempre molto ambigua. Erdogan ha lasciato, e lascia, che dal suo territorio passi di tutto, armi e uomini. Ieri ci sono state barricate e incendi in parecchie città. A Diyarbakir la polizia ha sparato lacrimogeni contro la folla che lanciava pietre. Non si conosce, per ora, il bilancio di questi incidenti.  

Come fa uno che ha preso il 40 per cento a giugno a trovarsi al 50 per cento a novembre? Sono dieci punti!
Le opposizioni hanno gridato ai brogli e ricordato che la tornata elettorale s’è svolta in un clima di intimidazioni. In effetti, Erdogan ha sguinzagliato per il Paese 255 mila soldati e 130 mila poliziotti. Il Partito democratico del Popolo (curdi) ha denunciato che molti suoi osservatori, quelli che erano stati incaricati di presidiare i seggi per impedire prepotenze, sono stati arrestati alla vigilia del voto. Erdogan ha poi messo in atto una campagna elettorale strabiliante. Ha promesso ai turchi che il governo si sarebbe occupato di combinare i matrimoni (Slogan: «Vi manca la sposa? Ve la troviamo noi») con un incentivo del 20% sulla somma che i giovani depositeranno in banca in vista delle nozze. Ha spostato di due settimane l’avvio dell’ora solare (facendo impazzire tablet e cellulari), per il timore che giornate con meno luce scoraggiassero gli elettori dal votare, specie in Anatolia e nella parte orientale della Turchia, dove l’Akp è più forte. L’afflusso è stato in effetti eccezionale, poco sotto il 90%. Ha rifornito di documenti validi, facendoli diventare turchi, tutti i profughi siriani che si trovano nel Paese e che sono stati facilmente persuasi a votare «nel modo giusto». Il presidente ha poi occupato i programmi tv: 29 ore di presenza, irrobustiti dalle 28 ore del suo partito. Ai poveri repubblicani del Chp non sono toccate che cinque ore, i curdi quasi non si sono visti.  

Ha anche arrestato giornalisti, e chiuso reti televisive.
Sì, sette reti televisive sono state oscurate, la polizia è entrata nelle redazioni dei giornali d’opposizione che poi sono stati costretti a pubblicare, alla vigilia del voto, grandi foto di Erdogan e titoli che lo esaltavano. Un effetto sui lettori davvero spiazzante. Non dimentichiamo infine il clima di terrore in cui la Turchia ha vissuto in questo periodo, culminato nella strage di Ankara del 10 ottobre (102 morti durante una marcia per la pace). La vittoria di Erdogan è anche un effetto del desiderio di ordine.  

A parte le questioni relative ai diritti civili e alla dittatura prossima ventura, questo risultato può essere considerato un elemento di stabilità, un passo verso la pacificazione dell’area?
Erdogan, alla Merkel che era andata a trovarlo, ha detto: «La stabilità sono io». Vuole entrare in Europa e ci minaccia con i due milioni di profughi siriani, e con gli altri che arriveranno: se non facesse lui da argine, ci troveremmo questa massa i disperati in Europa. Una catastrofe. È anche possibile che, risolto il problema delle elezioni, Erdogan si decida a far la guerra all’Isis sul serio. Non può lasciare questa medaglia sul petto degli odiati curdi.