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 2015  novembre 01 Domenica calendario

È morto il grande egittologo Sergio Donadoni

Sergio Donadoni, il più grande egittologo italiano, è morto ieri a Roma a 101 anni, gli ultimi dei quali segnati da un po’ di amarezza per lo sconfortante degrado al quale sono ridotte molte cose che amava. Era nato a Palermo il 13 ottobre del 1914 da una madre che insegnava inglese e da un padre, Eugenio, brillante storico della letteratura italiana che a 7 anni già gli faceva leggere l’Iliade. Avrebbe potuto seguire le orme paterne ed eccellere in qualunque settore del vasto mondo della cultura. Scelse l’antico Egitto perché sua madre un giorno lo accompagnò al British Museum di Londra, dove per la prima volta osservò da vicino le meraviglie di quella favolosa civiltà, nella quale «tutto sembrava costruito per essere eterno».
Conseguita la maturità a 16 anni, aveva vinto il concorso per entrare alla Scuola Normale di Pisa dove era stato accolto da Giovanni Gentile, amico del padre. Si era laureato nel 1934 con un altro grande egittologo, Annibale Evaristo Breccia, direttore dal 1904 del Museo Greco Romano di Alessandria d’Egitto. Dopo la laurea, due anni di borsa di studio a Parigi, i più formativi. Era la città di Jean-Francois Champollion, Auguste Mariette e Gaston Maspero, i tre mostri sacri dell’Egittologia, ma anche il luogo dove negli anni precedenti la guerra si radunava molta intelligenza europea. Donadoni divenne amico del fisico Bruno Pontecorvo, uno dei ragazzi di via Panisperna allievo di Enrico Fermi, e del filologo Gianfranco Contini, uomo di sterminate conoscenze. Uno degli incontri più importanti fu quello con Christiane Desroches, una grande donna conquistata all’archeologia dalla scoperta della tomba di Tutankhamon da parte di Howard Carter: fu la prima donna responsabile di uno scavo in Egitto e durante l’occupazione di Parigi fu lei a sottrarre ai nazisti i reperti egizi del Louvre, portandoli al sicuro nelle zone non occupate.
Quando Donadoni tornò in Italia, Breccia gli propose di sostituirlo al Museo di Alessandria. In Egitto, l’amore per i resti di quella grande civiltà divenne indissolubile. Andava in tram a Giza e da lì un altro tram lo portava nella campagna: al capolinea, le piramidi si stagliavano sullo sfondo, incorruttibili ed eterne. Fu lui a cercare per primo di smantellare l’immagine funerea dell’antico Egitto, sempre associata a tombe e mummie. Tutto quello che vedeva intorno a sé testimoniava intelligenza, cultura, vita.
Nel 1960, quando Christiane Desroches denunciò al mondo che la diga di Assuan avrebbe ricoperto di acqua i templi della Nubia e che bisognava fare qualcosa, Donadoni fu scelto come componente della commissione istituita dall’Unesco e lavorò per salvare i templi di Ellesija e di Abu Simbel con Silvio Curto, un altro grande egittologo scomparso a 96 anni un mese fa. Ha scavato ad Antinoe, a Medinet Madi nel Fayum e alla tomba di Sheshonq, raffinando le tecniche, l’organizzazione e il metodo. «Era un uomo – ricorda l’archeologo Alessandro Roccati, che ha lavorato con lui – di grande intelligenza e di grande apertura mentale. Sempre costruttivo, pronto all’amicizia piuttosto che alla rivalità. Per quasi un secolo è stato il decano degli archeologi, non solo in Italia, ma in tutta Europa». Sua moglie, Anna Maria Roveri Donadoni, è stata dal 1984 al 2004 sovrintendente del Museo Egizio di Torino, ma lui non ha mai voluto legarsi a una città particolare. Un anno fa, al compimento dei 100 anni, aveva raccontato in un’intervista del suo recente ritorno in Egitto e della ragione per la quale preferiva vivere di ricordi: «Ho visto solo desolazione. Lo dico con il cuore spezzato: che epoca è mai la nostra?».