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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Gli zingari, gli accordi con i giocatori, i soldi: confronto a quattro con Carlo Gervasoni, il "grande pentito" del calcioscommesse. «Ho contattato 60 calciatori italiani per coinvolgerli. Quanti hanno rifiutato? Due»; «Lo facevo per soldi. Giravo anche con 30-40 mila euro in contanti. Se non mi avessero scoperto, probabilmente sarei andato avanti»; «Gli zingari, in ritiro, prendevano una stanza nell’albergo accanto alla mia. Mi bussavano alla porta di notte. Pagavano in anticipo perché, se hai i soldi in mano, sei più compromesso psicologicamente. Se la combine non funzionava dovevi restituire i soldi»

Carlo Gervasoni, il grande pentito del calcioscommesse, due sere fa ha raccontato anche in tivù quello che da anni sta raccontando ai giudici. Lo ha fatto a Open Space su Italia 1. Per rispettare i tempi televisivi è andata in onda solo una piccola parte (25 minuti) del confronto di un’ora e più che Gervasoni ha avuto con Nadia Toffa, il sottoscritto e Matteo Corfiati (uno degli autori del programma). Ecco, in esclusiva per il Fatto, la versione ampia dell’intervista.
Come ho iniziato. “Ho truccato 12 partite dove giocavo io, più 40 che ho pilotato. Ho conosciuto il “clan degli zingari” in un ristorante in Svizzera nel 2008. Al primo incontro mi hanno subito proposto di accomodare la partita. Inizialmente non ci sono stato. Mi hanno corteggiato come si fa con una ragazza, li ho rivisti 5-6 volte. Avevano borse piene di contanti. Ho accettato”.
Funzionava così. “Vedevo gli zingari in posti appartati: parcheggi, vie isolate. Mi davano i soldi che volevano investire, tenevo una percentuale e li dividevo con chi partecipava alla combine. Gli zingari si fidavano: spettava a me individuare i calciatori da coinvolgere. Con gli italiani era più facile. Ne ho contattati 60. Quanti hanno rifiutato? Due”.
Perché lo facevo. “Per soldi. Giravo anche con 30-40 mila euro in contanti. Se non mi avessero scoperto, probabilmente sarei andato avanti. È durata circa due anni e mezzo. Io le combinavo ogni tanto, ma molti miei compagni l’avrebbero fatto sempre. Vendere le partite mi dava un sacco di adrenalina. In quei momenti, ai tifosi che pagano il biglietto, non pensi. In tutto ho guadagnato mezzo milione di euro. Quanto mi è rimasto? Niente”.
Come si fa a combinare. “Bastano due o tre giocatori. Durante la famosa Atalanta-Piacenza eravamo in tre del Piacenza ad averla venduta. Tra questi il portiere, e quando hai il portiere è tutto più facile. Nella Sampdoria, ad averla combinata di sicuro, c’era Doni”.
Gli zingari. “Si scommette all’estero, meglio in Asia. Gli ‘zingari’ scommettevano nei primi 10 minuti: clic continui con rialzo di 5.000 euro. Alla fine la percentuale di combine andate in porto era del 70/80%. Gli zingari, in ritiro, prendevano una stanza nell’albergo accanto alla mia. Mi bussavano alla porta di notte. Pagavano in anticipo perché, se hai i soldi in mano, sei più compromesso psicologicamente. Se la combine non funzionava dovevi restituire i soldi”.
Qualche volta va male. “Contro il Brescia, pur avendo venduto la partita, salvai un gol sulla linea: istinto, credo. Giocavo nel Mantova. Gli zingari si incazzarono moltissimo. Provai a giustificarmi dicendo che credevo che la palla avesse già varcato la linea. Dalla partita successiva mi hanno dato la metà della solita parcella”.
Quel viaggio di notte. “Una volta gli zingari mi svegliarono in piena notte. C’era da andare ad Ascoli per convincere un arbitro. Mi tolsi il pigiama e partii. Ma alla fine non lo convincemmo”.
Come mi hanno scoperto. “Cremonese-Paganese, novembre 2010. Mi hanno messo il Minias nel tè. Un forte sedativo, dosi da cavallo: qualcuno della nostra squadra voleva farci perdere. Nessuno di noi sapeva nulla, ma eravamo più forti e finì 2-0. Dopo la partita, mentre tornavo a casa in macchina, mi sono addormentato di colpo e ho causato un incidente della madonna. È stata aperta un’indagine per avvelenamento. La Procura di Cremona ha sospettato tentativi di combine e ha messo sotto controllo alcuni cellulari. Lì è iniziato tutto”.
La confessione. “Ho deciso di parlare per togliermi un peso, perché mi avevano beccato e perché rischiavo dai 3 ai 7 anni di carcere. Però dovevo dire: ‘Ok, parlo ma voglio tornare e giocare’. Non l’ho fatto e mi hanno radiato”.
Antonio Conte. “È molto difficile che un allenatore non si accorga di una partita combinata. Può succedere, ma è raro”. Carobbio, che Gervasoni ben conosce, è il grande accusatore di Antonio Conte. Reputa Carobbio un testimone credibile? “Molto credibile. Credibilissimo”.
Omertà. Alla puntata non hanno voluto partecipare Doni (che ha aperto un chiosco a Palma di Maiorca), Mauri, Tommasi (che ha disdetto dopo aver detto inizialmente sì) e Tavecchio (che è passato sopra un piede di uno degli inviati con la sua auto per sfuggire all’intervista). “Ho molto rispetto di chi sta indagando su questa vicenda: Di Martino, Palazzi. È gente con le palle, ma ho la sensazione che li stiano lasciando soli”.
Due pesi e due misure. Gervasoni allude a Mauri, il capitano della Lazio citato anche dal capo degli “zingari” Ilievski. “Non ho nulla contro Mauri. Ai giudici ho solo raccontato i fatti”. Un altro giocatore tornato in attività è Masiello, responsabile di un autogol surreale durante la combine Bari-Lecce 0-2. “Mi pare che in questa vicenda stia pagando solo io”.