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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

Le società non hanno nessuna voglia di mandare i loro giocatori in nazionale. Conte dovrebbe imparare ad accontentarsi di quelli che di regola stanno in panchina

Sempre forza azzurri. Purché si sbrighino. Portino a casa la qualificazione e poi tornino di fretta alle cose serie. Inutile raccontarcela: il clima è questo, sempre più freddo, sempre più fiacco. Noi vogliamo che ogni quattro anni la nazionale vinca il Mondiale, così da poterci buttare nelle fontane e ritirare fuori la bella retorica del Paese alla riscossa. Tra un Mondiale e l’altro, però, la «pausa per gli impegni delle nazionali» giunge gradita come la scabbia.
In altre epoche, in un’altra Italia, al tempo dei Bersellini e dei Seghedoni, non era così. La nazionale era un punto d’arrivo. Club e allenatori erano fieri di avere convocati. E se qualcuno dei loro campioni non veniva chiamato, scoppiavano dibattiti clamorosi. Perché no, cosa c’è sotto, sospetti di congiure geopolitiche e clientele mafiose. Ci tenevano tutti da morire, a quella maglia: fosse pure per una volta sola, una volta sufficiente a benedire una carriera. Era la nazionale che si concedeva al giocatore, non il giocatore alla nazionale.
Non è più così. Il mondo si è capovolto e con il mondo pure il clima azzurro. Dalla nazionale supportata alla nazionale sopportata. Ogni volta uno strazio. Conte fa le convocazioni e subito gli arrivano più certificati medici che al comando dei vigili romani sotto Capodanno, o al provveditore quando deve formare le commissioni per la maturità. Contratture, elongazioni, risentimenti. Ma i risentimenti più incurabili sono quelli delle società, che accolgono questa dannatissima lista del c.t. come un sopruso. Tu pensa, a noi ne ha chiamati cinque, perché a noi cinque e a quelli solo tre?
Più il c.t. chiama, più è sospettato d’essere pagato dalla concorrenza. A quel punto, guerra è guerra. Come diceva Bettino: a brigante, brigante e mezzo. I giocatori vengono al raduno, ma hanno già in valigia la cartella clinica e sulle labbra le parole giuste: sono venuto perché alla nazionale non si dice mai no, però sto proprio male, non credo di farcela. Si torna a casa, si crea allarme tra i tifosi, ma l’ufficio stampa provvede subito a chiarire: sarà sottoposto a terapie, ma per la ripresa ci sarà. Non c’è come tornare dalla nazionale per sentirsi da Dio. Neanche i viaggi a Medjugorje.
Conte ha provato a ribellarsi, ma ora è rassegnato: già si dice che non veda l’ora di tornare in un club, dove potersi seriamente scocciare se il c.t. gli convoca i giocatori. Quanto alle società, non accettano basse insinuazioni. Loro sono sempre a disposizione del sogno azzurro. Il c.t. può chiamare tutti i panchinari e i Primavera che desidera. Sarà un onore. Tra l’altro sono giocatori che hanno un gran bisogno di muoversi.