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 2015  ottobre 08 Giovedì calendario

Santorio Santorio, l’uomo che quattrocento anni fa inventò la bilancia. Così introdusse l’economia politica dei corpi e diede il via all’eterna diatriba tra magrezza e obesità. Da Baudelaire a Shakespeare fino a oggi

La magrezza è più nuda, più indecente della grassezza, diceva Baudelaire, che trovava nei tipi eccessivamente asciutti un che di perverso. Sembra un pensiero giurassico, tanto è lontano da quell’imperativo slim fit che oggi formatta anime e corpi, coscienze e bilance. In realtà, anche a metà Ottocento, l’autore dei “Fiori del male” è già in controtendenza storica. Perché la dittatura del peso, che oggi assume i toni di uno stigma morale, è figlia della modernità. E dei suoi sistemi di misurazione del mondo. Tutti tarati sulla quantità, sulla calcolabilità, sulla gravità. Che si tratti di cose o che si tratti di persone, la logica è la stessa. I nuovi protocolli della scienza sperimentale impongono una conoscenza sempre più esatta della dimensione e della pesantezza dei corpi. Terrestri, celesti e umani. È allora, all’epoca di Galilei e di Newton, che l’indagine
su masse e volumi, statiche e dinamiche, transita dal mondo del pressappoco all’universo della precisione. Siamo al tempo in cui l’autore del Dialogo dei massimi sistemi, compie i suoi celebri esperimenti sulla caduta dei gravi e scrive trattati come La bilancetta, in cui illustra i nuovi strumenti per misurare il peso specifico dei corpi. E non per caso a pochissimi anni di distanza fa la sua prima apparizione una nuova macchina di precisione destinata a imprimere alla storia sociale dell’Occidente una svolta biopolitica. E a influenzare pesantemente la nostra vita. È la bilancia pesapersone, che quest’anno festeggia i suoi quattrocento anni di vita. A inventarla è Santorio Santorio, un medico dell’Università di Padova, che presenta alla comunità scientifica il suo congegno nell’Ars de statica medicina, apparsa nel 1615 e considerata uno dei libri più importanti del secolo. Forse il più importante, insieme al De motu cordis ( Intorno al movimento del cuore) dell’inglese William Harvey, lo scopritore della circolazione del sangue. Santorio doveva avere proprio il bernoccolo della misura, visto che nel 1612 inventa anche il termometro, il primo strumento in grado di tradurre in cifre la temperatura corporea. In parole povere, di misurare la febbre.
Certo la sua bilancia non somiglia alle smart weight digitali sulle quali poggiamo i nostri piedi. Leggere, trasparenti, diafane, connesse in wifi con il computer, che calcola immediatamente le variazioni del nostro indice di massa corporea. Finendo paradossalmente per bypassare la nostra corporeità, transustanziandola in algoritmi. Quella di Santorio aveva l’imponenza teatrale di una macchina barocca. Con uno scranno di legno, sospeso ad una fune legata a un gigantesco bilanciere graduato, lungo quanto un’intera stanza. E su quello scranno l’ingegnoso medico veneziano ha passato trent’anni della sua vita. Senza scendere neanche per dormire. Ci lavorava, studiava, riceveva. E all’ora dei pasti un congegno a braccio mobile gli avvicinava un tavolino a rotelle con pranzo e cena. Non prima di aver pesato tutti i cibi, solidi e liquidi, che componevano la paletta nutrizionale dello scienziato.
Un ingegno dietologico inesorabile perché, una volta assunta la giusta quantità di alimenti, la sedia si allontanava rendendo irraggiungibili le leccornie in bella mostra sul tavolo. Ma la sua macchina della verità corporea era in grado di calcolare non solo gli input ma anche gli output. Perfino il sudore. In particolare quella che all’epoca veniva chiamata perspiratio insensibilis, vale a dire traspirazione impercettibile. Quella sorta di evaporazione che sprigiona dal nostro corpo una nube aerea, una nebbiolina invisibile e apparentemente senza peso.
Certo è che lui e la bilancia diventano una sola cosa, anche nell’immaginario popolare. Al punto che su un muro esterno dell’università patavina campeggiava un’epigrafe in sua memoria, col simbolo del pesapersone e il motto Hac stat salus, cioè questa è la salute. Come dire che il segreto del benessere sta nel controllo costante del proprio corpo. Precetto che Santorio applica prima di tutto a se stesso.
Di fatto l’inventore del pesapersone traduce in numeri, grammi e centimetri quella tendenza al controllo dei corpi, e non più solo delle anime, che caratterizza la modernità borghese. Che progressivamente, ma inesorabilmente, trasforma la ponderazione da categoria filosofica in categoria fisiologica. Perché ha bisogno di ritmo, efficienza, leggerezza per far correre l’economia di mercato che sta nascendo. Non a caso in quegli stessi anni l’oversize comincia a diventare una questione scientifica, sociale e morale. Biopolitica, insomma. E obesity comincia a diventare una parola ricorrente, soprattutto nel mondo anglosassone e in generale in quello protestante, che vede nella grassezza una mollezza fisica e morale tipica del mondo cattolico.
La usa tra i primi il fisiologo e medico Tobias Venner in un’opera intitolata Via recta ad vitam longam. Come dire che la retta via verso la longevità passa attraverso la rinuncia, la temperanza e l’autocontrollo. E chi non è capace di normalizzare i propri appetiti corporei è doppiamente colpevole. Di ingordigia e di inefficienza. Di intemperanza e di tracotanza. Non a caso nel mondo che sta nascendo non c’è più posto per i grassoni. Come il Falstaff shakespeariano, paradigma di questa morale ponderale. Descritta mirabilmente nell’Enrico IV. Dove la carne tremula di Sir John diventa l’ologramma inquieto di un passaggio epocale. E la sua condanna è già scritta, fuori scena, nei nuovi comandamenti della modernità. Il suo destino, che ha il ventre per sigillo, annuncia o, meglio, “presoffre” come il Tiresia di Eliot, la nuova economia politica dei corpi che prescrive continenza e temperanza, magrezza e leggerezza a guisa di esercizi spirituali. A tutto questo Falstaff si oppone, tuonando contro la «nuova generazione di debosciati, che beve poco e mangia solo pesce». È esattamente quel che facciamo noi oggi. Insomma con Santorio e Shakespeare vanno in scena le prove generali del nostro presente, che fa cortocircuitare vita e girovita. E prende le misure all’esistenza.