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 2015  ottobre 08 Giovedì calendario

Il grande ritorno delle suffragette. Le femministe spopolano al cinema, a teatro, sul web, in politica, sulle passerelle e anche in piazza. Sono dappertutto per finire il lavoro iniziato dalle loro nonne cent’anni fa

Sono al cinema, con “Suffragette”, il film su come cent’anni fa lungo le rive del Tamigi cominciò la lotta per dare diritto di voto alle donne. Sono a teatro, con “Women in the World”, il summit annuale organizzato nella capitale britannica dall’ex-direttrice del New Yorker Tina Brown, un talk-show lungo due giorni con ospiti come la regina di Giordania e la premier scozzese Nicola Sturgeon. Sono al parlamento di Westminster, con Mhairi Black, a 20 anni la più giovane deputata della storia eletta alla camera dei Comuni, e fuori dal parlamento, con il Women’s Equality Party, primo partito formato interamente da donne in Inghilterra. Sono nelle piazze, con “Daughters of Eve” (Figlie di Eva), l’associazione fondata da un’immigrata somala per combattere la mutilazione genitale femminile. E sono su internet, con una miriade di siti, blog e iniziative mediatiche, come Debrief, giornale online inglese la cui direttrice Hattie Brett afferma: «Il web ha reso più accessibile il femminismo».
“Fem.com”, scrive il quotidiano Evening Standard in un numero speciale dedicato alla “new gen fem”, la nuova generazione femminista. Una generazione che negli ultimi anni ha usato strade e metodi diversissimi fra loro per far sentire la propria voce: da quella pop di Beyoncè, che si è appropriata delle parole della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie per schierarsi dalla parte delle donne, a quella solenne incarnata dall’attrice Emma Watson nel suo discorso alle Nazioni Unite, fino a quella provocatoria delle Femen con i loro raid a seno scoperto.
Le varie anime del femminismo in questi giorni si sono date appuntamento a Londra per analizzare le sfide del presente e progettare quelle del futuro: «Siamo ancora ben lontane dal finire il lavoro che le nostre progenitrici hanno iniziato», osserva Rachel Holmes, biografa di Sylvia Pankhurst, la leader del movimento delle suffragette. Che di festeggiare il revival di “the other F-word”, l’altra parola che comincia per effe (come la definisce ironicamente sulla stampa londinese una delle sue paladine, la giornalista Kilm Hammerstroem), proprio non sembra aver voglia.
In effetti le cronache degli ultimi mesi, limitandosi alla sola Londra, hanno portato nuovi esempi di maschilismo: c’è il caso di Eva Carneiro, medico sportivo del Chelsea Football Club, messa da parte in malo modo da Josè Mourinho perché aveva fatto il suo dovere soccorrendo in campo un calciatore infortunato; e quello di Charlotte Proudman, giovane avvocatessa di uno dei più importanti studi legali della capitale, che ha protestato per i complimenti sessisti ricevuti da un anziano collega su Linkedin e si è sentita rimproverare dai senior partner del suo ufficio; e infine quello che ha visto protagonista il premio Nobel Tim Hunt, che ha iniziato un discorso a un convegno di scienziate dicendo che uomini e donne in laboratorio dovrebbero stare separati, «perché le donne si innamorano degli uomini e poi piangono se noi le rimproveriamo».
Polemiche d’altro genere hanno investito pure Meryl Streep e colleghe: le interpreti di “Suffragette” sono state accusate di essere «bianche privilegiate» per avere indossato una maglietta che riprendeva uno slogan del tempo, «meglio ribelli che schiave», senza coinvolgere rappresentanti delle minoranze. Un classico caso di eccesso del politicamente corretto, considerato che regista e sceneggiatore del film (entrambe donne) non potevano chiamare altro che attrici bianche a interpretare delle militanti inglesi del primo Novecento.
«L’esempio delle suffragette conta ancora perché abbiamo ancora molte lezioni da imparare e battaglie da combattere», avverte la scrittrice Jacqueline Rose, autrice di Women in dark times. Ne elenca qualcuna: «Oggi le donne hanno diritto di voto nella maggior parte dei paesi, ma non in Arabia Saudita, grande alleato dell’Occidente. Due terzi degli analfabeti della terra sono donne. La violenza domestica, lo stupro, le molestie sessuali e le discriminazioni sessuali di ogni genere restano una pratica quotidiana». Eppure qualcosa si muove nella cosiddetta altra metà del cielo, come sottolinea il convegno itinerante che Tina Brown, stella del giornalismo inglese e americano, porta oggi e domani sul palcoscenico di Cadogan Hall. Basta la varietà degli interventi a comunicare risorse, ampiezza e determinazione del movimento: Mervat Alsman, profuga siriana, racconta l’orrore della sua odissea; Zhanna Nemtsova, figlia del politico dissidente assassinato a Mosca, parla della sua metamorfosi da reporter ad attivista per tenere vivo il messaggio del padre; Ursula von der Leyen spiega come tenere insieme il suo posto di ministro della Difesa tedesco con le responsabilità di madre di sette figli; Delan Dakheel Saeed, dottoressa curda, descrive la disperata corsa per salvare le ragazze Yazide dalla violenza sessuale del sedicente Califfato Islamico. E poi Nicole Kidman su Rosalind Franklin, la scienziata privata del Nobel per la scoperta del Dna, che l’attrice australiana interpreta in questi giorni in un teatro di Londra; Meryl Streep sulla sua interpretazione della Pankhurst in “Suffragette”; la premier scozzese Sturgeon e la giovanissima deputata scozzese Black su un nuovo modo di fare politica; la madre di Malala Yousafzai sui valori che ha insegnato alla sua indomita figlia.
Donne diverse, esperienze differenti: Tina Brown porta sul palco di “Women in the World” anche la controversa ministra degli Interni britannica Theresa May ( quella che vorrebbe cacciar via gli immigrati) e la top model (vicina all’addio) Cara Delevingne. «Ma ogni movimento rivoluzionario deve fare i conti con conflitti di personalità e contraddizioni interne, valeva anche per le prime suffragette del secolo scorso», ricorda Helen Lewis, vicedirettrice del settimanale laburista New Statesman.
In fondo, concorda l’organizzatrice dell’evento, la diversità è la prova di quanto l’emancipazione femminile sia cresciuta da quando nel 1792 Mary Wollstonecraft pubblicò “The rights of women”, nel 1897 Millicent Fawcett fondò la Società Nazionale per il Suffragio Femminile, nel 1928 le donne ebbero diritto di voto in Gran Bretagna, nel 1945 in Italia, nel 1971 in Svizzera.
Oggi le “nuove suffragette” sono tornate: al cinema, a teatro, in politica, nelle piazze, sul web, anche sulle passerelle dell’alta moda. Dappertutto.