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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Benvenuti alla Dj Network, la scuola più ambita a Parigi. In Francia la dance ha creato diecimila posti di lavoro. E i ragazzi fanno la fila per imparare a mettere i dischi ma non solo: «Bisogna conoscere la grafica, la gestione delle luci. Deve essere polivalente, anche musicalmente»

Un’aula come tante. In una scuola dall’apparenza anonima, a due passi dalla Torre Eiffel. Ma i ragazzi (molti in realtà hanno una trentina d’anni) discutono con il docente su come «illustrare» una serata in spiaggia o quale scaletta prevedere per l’inaugurazione di una boutique di lusso. 
Più tardi interverrà Mehdi Widemann, massiccio e rassicurante (e noto con vari nomi di battaglia nel piccolo-grande mondo dei disc jockey francesi), a spiegare come seguire il mood della serata, fino a quello che lui chiama «coup de feu», una fucilata di pezzi che «è il momento più energizzante per il pubblico. Ma il pubblico prima va capito». Quasi che ballare fosse una seduta psicanalatica. Nel pomeriggio, i «ragazzi» (neanche una femmina) vanno al sodo: uno a uno passano sulla consolle, per far vedere di cosa sono capaci. L’atmosfera si rilassa, finalmente.
Benvenuti alla Dj Network, la scuola più ambita a Parigi per i dj. La prima venne fondata nel 1994. Oggi ci sono centri di formazioni anche a Lione, Cannes, Montpellier. Perché, se un tempo un figlio che ambisse a fare il disc jockey era una delle peggiori maledizioni che potesse abbattersi su una famiglia, oggi la professione tira, eccome. «Il numero aumenta sempre, siamo a oltre diecimila in tutta la Francia», osserva Jean-Pierre Goffi, fondatore di Dj Network e ancora direttore.
Alla fine degli Anni 90, quando si affermò a livello internazionale il French Touch nell’arte della consolle, grazie a personaggi del calibro di David Guetta, Bob Sinclar e campioni della musica elettronica come i Daft Punk, diventò perfino un genere da esportazione. «Una ventina d’anni fa lavoravi solo in discoteca o in alcune feste private – continua Goffi – oggi chiamano un dj per gli eventi più impensati, anche una sfilata di moda. Riceviamo offerte di lavoro ogni settimana». 
Gli allievi di questa scuola, che è riconosciuta dallo Stato, sono una cinquantina. Dura dieci mesi, compresi due di stage pratico. «Il mestiere si è altamente professionalizzato – continua il direttore di Dj Network -. Un disc jockey deve conoscere la grafica, la gestione delle luci. Deve essere polivalente, anche musicalmente».
«Uno dei problemi maggiori delle nuove generazioni è che conoscono sempre meno la varietà dei generi musicali – sottolinea Mehdi – : si limitano all’Edm che è andato di moda negli ultimi anni, soprattutto quell’house un po’ esagerata, “muscolosa”. Meno male che ora si sta ritornando a un po’ più di dolcezza, alla musica vera, a un po’ di canto. Poi, quando chiediamo loro di alcuni pilastri della dance o del funky, cadono dalle nuvole. Abbiamo tutta una cultura da rifare».
Molti degli allievi fanno in realtà i disc jockey da quando erano ragazzi. «Ma a un certo punto – racconta Florian, 30 anni – per fare il salto, devi venire qui a scuola». Lui un lavoro ce l’ha già: è postino. «All’inizio alternerò le due attività, poi farò solo il dj». I neodiplomati, per una serata privata, prendono cifre che partono da 400-500 euro. Mehdi li mette in guardia «contro gli inevitabili pericoli della notte, la droga e l’alcol». 
E parla loro di quella struggente melanconia, che prende ogni dj alla mattina, quando tutto è finito. Dopo che dal «coup de feu» si ritorna tutti con i piedi per terra.