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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Le missioni di Forsyth. Incontri, segreti e amori del giornalista che per scrivere di spie diventò una spia. Tutto in un’autobiografia ironica, spregiudicata, patriottica e tradizionalista

Nelle librerie inglesi sta spopolando The Outsider, l’autobiografia di Frederick Forsyth, l’autore del Giorno dello sciacallo e di alcuni dei romanzi di spionaggio di maggior successo degli ultimi cinquant’anni: Il dossier Odessa, I mastini della guerra, Il quarto protocollo, Il cobra. 

La principale ragione di questo suo nuovo successo sta nella rivelazione che appare a due terzi del libro. Di Forsyth si sapeva che era stato un brillante giornalista, prima della Reuters e poi della Bbc. Si sapeva che dalla Bbc era stato mandato in Nigeria durante la guerra del Biafra, ma che i suoi capi, a Londra, gli avevano detto di lasciar perdere, perché quella guerra «era una faccenda di secondaria importanza». Si sapeva che Forsyth si era licenziato e che era tornato sul posto, come giornalista freelance, per documentare gli orrori di quella guerra: non solo i combattimenti, ma soprattutto il fatto che migliaia di bambini morivano di fame.
Quello che non si sapeva è che alla fine del 1968, in occasione di un suo breve ritorno a Londra dal Biafra, era sta contattato da Ronnie, un funzionario dei Servi Segreti. Pur essendo un esperto del mondo asiatico, Ronnie era stato invece incaricato di occuparsi dell’Africa, di cui sapeva assai poco. Forsyth, nel corso di «una ventina di ore di conversazione», gli spiegò qual era la situazione in Biafra. E Ronnie gli chiese quindi di collaborare con i Servizi: tornato in Africa, gli avrebbe mandato quelle informazioni riservate che, «per una ragione o per l’altra», non potevano essere pubblicate. La ragione principale, sostiene Forsyth, era che il governo laburista aveva sempre continuato a sostenere e ad armare il governo nigeriano; e che dei bambini biafrani non gliene importava.
La sua collaborazione con i Servizi era del tutto gratuita. Il «compenso» consisteva nel poter contare sui Servizi per le informazioni che poteva utilizzare nei suoi libri di spionaggio (e per le eventuali correzioni delle bozze). Nel 1973 fu nuovamente contattato per un’operazione ben più rischiosa. Si trattava di consegnare un «pacchetto» a un colonnello russo di stanza in Germania Est, il quale gliene avrebbe consegnato un altro da portare a Londra. Lo scambio sarebbe avvenuto a Dresda, dove Forsyth sarebbe giunto come turista per visitare l’Albertinum Museum. Ci andò con la sua auto, una Triumph Vitesse. Sotto la batteria era stata creata una piccola cavità in cui sistemare il «pacchetto». E lì Forsyth avrebbe poi nascosto il «pacchetto» del colonnello russo.
L’andata, andò bene, senza intoppi. Il ritorno fu a grandissimo rischio. Lasciata Dresda, Forsyth si era fermato su una piazzola di sosta per sistemare il «pacchetto» sotto la batteria; proprio allora sulla piazzola giunse un’auto della polizia. Se la cavò fingendo di avere cercato di riparare un incomprensibile guasto al motore e chiedendo ai poliziotti il loro aiuto, adulandoli in quanto tedeschi e quindi espertissimi di meccanica. Uno di loro risolse il problema: scoprì che si era semplicemente staccato il cavo della batteria. Bella scoperta! Ma fieri del trionfo meccanico, i poliziotti non guardarono oltre. Forsyth poté così proseguire: e confessa che il momento più felice della sua vita fu quando superò il confine. 
A leggere l’autobiografia si direbbe che per altri vent’anni non gli fu affidata nessuna missione. La «Ditta» (cosi venivano chiamati i Servizi dai loro dipendenti, dice Forsyth) solo nel 1992 lo convocò di nuovo. Non per un lavoro di spionaggio; bensì per una delicata missione diplomatica. Si trattava di contattare Pik Botha, il principale alleato del presidente sudafricano De Klerk, per capire che cosa sarebbe accaduto delle sei bombe atomiche di cui il Sudafrica disponeva (un eventuale governo «estremista» del nuovo Sudafrica, che cosa ne avrebbe fatto?). Forsyth fece in modo di partecipare con lui a una settimana di safari nel Kalahari. «Dica ai suoi di stare tranquilli – gli confidò Botha – Le distruggeremo». E così fu.
Il fascino dell’autobiografia non sta soltanto nelle avventure spionistiche. Tutta la vita di Forsyth, esemplare perfetto di inglese avventuroso, ironico, spregiudicato, patriottico, tradizionalista, è di per sé un avvincente romanzo. Il suo aspetto più «inglese» è il gusto per l’avventura e per il rischio, come emerge dalla sua passione per gli aerei da guerra (che imparò a pilotare giovanissimo e che ancora pilotò a 76 anni); quello meno inglese è che sappia parlare francese, tedesco e spagnolo (andò a Malaga per seguire un corso di lingua all’università; ma imparò lo spagnolo con il sistema suggerito da Voltaire, «fidanzandosi» con una fanciulla del posto).
Affascinanti sono poi i suoi «incontri»: con militari golpisti, con uomini politici, con mercanti di armi, con agenti segreti della Germania Est e di Israele. Per non parlare di una splendida ragazza cecoslovacca incontrata a Praga, che, dopo aver fatto l’amore con lui, gli svelò di essere uno degli agenti segreti che dovevano controllarlo. Chissà se quella volta Forsyth si sentì un po’ James Bond.