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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Islamisti d’Italia. Per guardare in faccia la brutalità degli estremisti musulmani non occorre andare lontano: purtroppo anche la cronaca nazionale offre esempi di torture, crimini d’odio e aspiranti jihadisti

Non c’è bisogno di andare lontano e di cercare per forza l’atrocità esotica. La faccia brutale dell’islam l’abbiamo anche in Italia, ogni giorno, ma giriamo lo sguardo, preferiamo rivolgerlo altrove, verso cause umanitarie lontane su cui non abbiamo nessuna giurisdizione. Ci stupiamo e ci stracciamo le vesti per la barbarie dimostrata da altri Paesi, poi però non vediamo che cosa accade ogni giorno in casa nostra, sotto il nostro naso.
Si fa un gran baccano sui giornali per l’arrivo nelle nostre sale di Much Loved, il film di Nabil Ayouch che documenta la realtà della prostituzione in Marocco. Ci sorprendiamo e gridiamo allo scandalo perché il regista è costretto a vivere sotto scorta, ha subìto minacce di morte e ovviamente la sua pellicola è stata vietata. Sgraniamo gli occhi per l’ingrata sorte del regista, e ci mancherebbe. Ci sono tutte le ragioni per pubblicizzare la sua opera, e per affollare le proiezioni al cinema. Ma di più che pagare un biglietto non possiamo fare.
Così come possiamo esercitare ben poca influenza sulla situazione dell’Arabia Saudita. Nessuno tocchi Caino e Amnesty International, nei giorni scorsi, hanno emesso comunicati e diffuso dichiarazioni; sul sito Change.org è stata lanciata una petizione online: tutto per sostenere una battaglia più che nobile. Ovvero quella per fermare l’esecuzione di Ali al Nimr, ragazzo di appena 20 anni condannato ad essere decapitato e poi crocifisso fino a quando il suo cadavere non andrà in putrefazione.
Lo hanno incarcerato e processato per aver manifestato contro il governo, e la sorte che gli si prospetta è mostruosa. Ma a parte mettere una firma, che cosa possiamo fare per questo povero giovane? Nulla.
Anzi, quando qualcuno prova ad alzare la voce, viene bacchettato dalle autorità arabe.
L’ambasciatore saudita Rayed Khalid A. Krimly ha scritto una «lettera aperta agli amici italiani» in cui ci invita caldamente a farci i fattaci nostri, evitando le reprimende e dimenticando i buoni sentimenti. «Anche noi potremmo non gradire alcuni aspetti della cultura, della politica o del sistema giuridico italiani, ma non ci troverete ad impartirvi lezioni su come condurre i vostri propri affari», ha scritto il diplomatico.
Che dovremmo rispondergli? Che è un barbaro macellaio? Eppure il suo Paese fa parte della coalizione che bombarda – assieme agli Stati Uniti – i tagliagole dello Stato islamico che minacciano l’Europa. Cosa che finora l’Italia non ha avuto cuore di fare. Dunque ci prendiamo la sua bastonata e soffriamo in silenzio.
Però ci sono brutalità a cui potremmo opporci con qualche successo: quelle che ogni giorno si consumano sul nostro suolo. Crimini prodotti dall’immigrazione incontrollata, dalla sudditanza culturale che costantemente mostriamo verso le forme più aggressive di islam.
Le Cronache da Eurabia ogni mattina sono ricchissime. Lunedì abbiamo saputo dell’arresto, a Napoli, di un algerino di 47 anni che malmenava la moglie e il figlio. Quest’ultimo veniva torturato con scariche elettriche, era costretto a stare fuori di casa a petto nudo, in pieno inverno, mentre il genitore gli tirava secchiate d’acqua.
Sempre lunedì, i giornali hanno raccontato la storia di Ishrak Amine, ventunenne marocchina di Mesola, provincia di Ferrara. Suo padre l’ha uccisa e poi si è sparato. Lei studiava e aveva ottimi voti, ma il preside della sua scuola ha spiegato ieri che «era sempre in lotta sempre con il padre, perché la madre era moderna, come lei, mentre il padre era un fondamentalista».
Episodi come questi sono figli di un’integrazione impossibile che noi però continuiamo a vagheggiare. Le violenze domestiche sono un portato culturale di cui non teniamo conto quando spalanchiamo le porte all’Invasione.
Parliamo di tolleranza, di dialogo fra le civiltà. Poi scopriamo che al centro islamico di Schio, vicino a Vicenza, c’è un imam che proibisce ai ragazzini musulmani di ascoltare musica. Si chiama Sofiane Mezerreg, veniva dall’Algeria, ed è stato espulso nei giorni scorsi. Non potrà tornare in Italia per dieci anni. Ma solo perché qualcuno si è insospettito per quei bimbi che a scuola rifiutavano di partecipare all’ora di musica. Sono gli stessi bambini che – secondo le carte degli investigatori che hanno lavorato per tre mesi sul caso – dicevano ai compagni: «Quando sarò grande mi farò esplodere con una bomba». E: «Useremo le armi contro voi italiani». Erano gli insegnamenti dell’imam, che se ne stava tranquillamente nel nostro Paese dal 2002.
Cose del genere accadono qui, non in Arabia Saudita o in Marocco. Eppure continuiamo a sostenere l’accoglienza, ad ammorbidire le regole per l’accesso alla cittadinanza. Ieri il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto che potrebbero arrivare in Europa tre milioni di immigrati. Frontex ci ha fatto sapere che i clandestini giunti finora sono oltre seicentomila. Per lo più di religione islamica. Certo, mica tutti sono fanatici. Ma un imam basta e avanza.