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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Da consigliere regionale a oste: è finita così la breve parabola politica di Giovanni Favia, il primo dissidente del M5S. Ora ha aperto a Bologna "Vamolà", una "trattoria letteraria" dove serve piatti della tradizione emiliana in mezzo ai libri

Fu il primo attivista da combattimento, il primo eletto in consiglio comunale (a Bologna), poi in Regione (Emilia Romagna), il primo dissidente, il primo cocco di Grillo e Casaleggio. E chissà dove voleva arrivare. Dal Movimento 5 Stelle però venne espulso per manifesta mancanza di sintonia col resto dei militanti. Ci provò con Rivoluzione civile, movimento fondato da Antonio Ingroia, ma prese voti da riunione da condominio. Naufragata la carriera politica, Giovanni Favia, classe 1981, prova nell’impresa di diventare ristoratore bolognese a Bologna.
E se prima faceva il videomaker, complice uno stipendio da consigliere regionale che gli ha permesso di mettersi via qualche soldo, se la gioca con un locale. “Lo ha chiamato Fuori onda?”, ironizzano i suoi detrattori. Già, perché Favia cadde in disgrazia proprio pizzicato dalla registrazione non concordata di un inviato di Piazzapulita, la trasmissione di Corrado Formigli, dove diceva peste e corna di Casaleggio e Grillo. Avrebbe potuto scusarsi, decidere di ricucire i rapporti, ma decise di fare il primo tra i tutti: anche dei dissidenti. È finito ristoratore. La trattoria si chiamerà molto più semplicemente “Vamolà”, tagliatelle al ragù, bolliti e piatti della tradizione emiliana. Per differenziarsi dagli altri (a Bologna la concorrenza non manca) la sua sarà una trattoria letteraria che, tradotto, vuol dire che ci saranno libri qui e là. Ne abbiamo già viste. Con il Fatto Quotidiano Favia non parla, e non se ne capisce il motivo, visto che ha avuto un blog dove ha scritto fino a quando ha voluto, di tutto e di tutti.
Della sua nuova vita, invece, ha parlato con l’Espresso, insomma ha mantenuto il viziaccio dei politici di considerare la stampa amica e nemica, come fa del resto Matteo Renzi ogni giorno. “La cosa più deludente per me è stato il lato umano della questione. Credevo che io e Grillo fossimo legati”, a un giornalista del settimanale. “Siamo partiti insieme, io sono stato il loro primo esponente, Grillo mi invitava alle sue feste private. Non so se ci siano stati altri eletti che hanno avuto il rapporto che io ho avuto con lui. Liquidare anni in quel modo è stato brutto”. Ripercorrere la vicenda Favia forse non è nemmeno particolarmente interessante. Comunque lui, a un certo punto, ha iniziato a non soffrire la presenza di Casaleggio. Lo detestava, molto ricambiato. E non ne faceva mistero. Diceva che all’interno dei Cinque Stelle si era persa la democrazia, che i vertici controllavano tutto e tutti. C’è un particolare, però: Favia era alla scadenza del secondo mandato e all’interno dei Cinque Stelle e andare oltre è vietato. Dunque voleva un segnale di apertura che non arrivò. E alla fine fece il possibile per farsi cacciare. Non solo: quando, sfruttando il clamore mediatico, passò con Ingroia, non si dimise da consigliere regionale, ma promise di farlo presto. Non lo ha fatto fino alla fine del mandato.
Ma l’argomento è chiuso, sembra preistoria politica di un Movimento 5 Stelle che allora era molto grillino. Poi ci sono state le elezioni politiche, le espulsioni, ma è iniziata tutta un’altra vicenda che ha portato al direttorio. Proprio lì dove, nelle intenzioni, Favia sarebbe voluto arrivare. Se non si fosse messo in rotta di collisione non solo con Grillo e Casaleggio, ma ai suoi compagni d’avventura, quelli che c’avevano creduto. Magari, tra qualche anno, si ritroveranno lì, nella trattoria, a ricordare il tempo che fu. Perché due mandati volano.