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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Dal lodo della discordia all’acquisizione di Rizzoli Libri, controstoria della Mondadori secondo Marco Travaglio: «Ha ragione, anzi straragione Marina: “La nostra storia dimostra chi siamo”. Pure troppo»

“La nostra storia dimostra chi siamo”, dice Marina Berlusconi, figlia di cotanto padre nonché presidentessa della Mondadori a proposito della fresca incorporazione della Rizzoli Libri. E lo fa in un lungo colloquio con Daniele Manca, il suo vicedirettore e intervistatore preferito del Corriere della Sera, quotidiano di cui ella è indirettamente azionista attraverso Mediobanca. A suo dire, i timori di alcuni autori Rizzoli catapultati alla corte di Segrate (provincia di Arcore) dall’operazione Mondazzoli sono infondati e pretestuosi: “Lasciamo parlare i fatti”. Ecco, lasciamoli parlare. “Siamo editori della Mondadori non da ieri, ma da 25 anni”. Vero. Potrebbe aggiungere che la data è strettamente connessa alla sentenza del giudice Vittorio Metta, il quale annullò il lodo Mondadori favorevole a Carlo De Benedetti e consegnò il primo gruppo editoriale italiano a Silvio Berlusconi perché era stato corrotto da Cesare Previti, avvocato del padre di Marina, con soldi della Fininvest, azienda del padre di Marina. Ragion per cui la Mondadori posseduta da Silvio e presieduta da Marina dovette poi staccare un assegno di 494 milioni di euro all’Ingegnere derubato. Ma non sottilizziamo. Ora la presidentessa della refurtiva ricorda come “questa lunga storia dimostri chiaramente che tipo di editori siamo e qual è il rispetto, il rispetto più assoluto, che abbiamo sempre avuto per le prerogative degli autori, per la libertà, per il pluralismo”.
Per informazioni, ci si può rivolgere a Roberto Saviano che, dopo aver portato soldi a palate alla Mondadori con Gomorra, venne insultato dal premier editore B. (“con Gomorra, Saviano ha fatto da supporto promozionale alla camorra”); e Marina, nel rispetto più assoluto per il suo autore, anziché difenderlo si schierò col genitore. Dopodiché Saviano passò a Feltrinelli. Anche Giorgio Bocca aveva traslocato anni prima con la stessa destinazione perché aveva avuto come l’impressione, dalla penuria di promozione, che i suoi libri peraltro vendutissimi non fossero più graditi ai noti campioni di pluralismo. Ma si sa com’era Bocca: malmostoso. Nel marzo 2001, quando ebbe la sventura di ospitare il sottoscritto su Rai2 per parlare de L’odore dei soldi sui rapporti fra B. e la mafia, Daniele Luttazzi aveva in uscita con Mondadori un libro, Satyricon, pronto da settimane: se fosse uscito, come previsto, il 14 maggio all’indomani delle elezioni, avrebbe sbancato.
Invece fu rinviato a fine giugno, periodo editorialmente morto, per giunta con una frase di Dell’Utri (“Luttazzi è un cretino”) cancellata a sua insaputa dalla quarta di copertina. Anche lui se ne andò. Dopo quelle elezioni, stravinte da B., Gian Antonio Stella consegnò a Mondadori Tribù, dedicato alla presunta classe dirigente del centrodestra tornato al governo. “E sulla sinistra niente?”, fu l’obiezione degli alti papaveri. “Quando la sinistra tornerà al governo mi occuperò di loro: nelle democrazie si fanno le pulci a chi vince, non a chi perde”, replicò Stella. Il libro uscì con pochissima pubblicità. Eppure sbancò. Ma Gianni Letta si lamentò del proprio ritratto sul Foglio, altri protestarono di nascosto con Segrate, Gasparri addirittura fece causa a Stella. Il quale lo apprese in una cena con i grandi capi, insieme alla notizia che questi avevano deciso di risarcire il cosiddetto onorevole senza neppure chiedere all’autore se per caso non avesse ragione lui. Tribù uscì dal catalogo Mondadori alla velocità della luce, senza più ristampe, nonostante la partenza a razzo. Anche Stella salutò, e oggi dice: “Ho fatto esperienza di quanto sono liberali alla Mondadori, e non è stata una bella esperienza. Ora che Rizzoli è entrata nel gruppo di Segrate, cambierò di nuovo editore”.
Sempre nel 2001, spariva dal catalogo pure la biografia di Paolo Borsellino scritta da Umberto Lucentini. E il libro Padrini d’Europa di Fabrizio Calvi, il giornalista francese autore dell’ultima importante intervista al giudice antimafia, che parlava di Mangano, B. e Dell’Utri due mesi prima di morire, vide volatilizzarsi i nomi del Cavaliere e del boss stalliere dall’edizione italiana (Mondadori, of course). Una spiacevole svista nella traduzione che deve aver molto addolorato Marina, visto l’affetto che le portava Mangano: il quale, oltre ad accompagnarla ogni mattina a scuola per tutto il biennio arcoriano, le voleva così bene da battezzare la sua terza figlia col suo stesso nome, Marina Mangano.
Ora Marina (Berlusconi) dichiara: “Pensi a come ci siamo comportati, per esempio, con l’Einaudi… pensi a tutti i libri che abbiamo pubblicato in questi 25 anni”. Ma anche a quelli che Einaudi non ha pubblicato ad alcuni suoi storici autori, “rei” di parlare di B. Breve elenco di quelli noti: i versi politici postumi di Giovanni Raboni (poi usciti per Garzanti), il Duca di Mantova di Franco Cordelli (poi stampato da Rizzoli), Il corpo del Capo di Marco Belpoliti (poi pubblicato da Guanda). E, dulcis in fundo, nel 2009, Il quaderno di José Saramago, che osava definire il premier B. “delinquente” e “pericolo per la democrazia” (uscirà per Bollati Boringhieri). Anziché insorgere contro la censura, gli autori Einaudi Francesco Piccolo e Sergio Luzzatto si affrettarono a difenderla, e già che c’erano stroncarono pure il libro del premio Nobel per la Letteratura e l’editore che aveva osato pubblicarlo. Piccolo scrisse sull’Unità che Il quaderno era “irrazionale, incontrollato, sciatto, superficiale; e le pagine su Berlusconi brillano solo per violenza poco o nulla argomentata”. Lo storico Luzzatto, sul Corriere, se la prese addirittura con Bollati Boringhieri: “C’è da chiedersi se non abbia ecceduto in coraggio, pubblicando un volume tanto superficiale e ovvio. Una collezione di luoghi comuni gauchistes in forma di blog”. E così anche Saramago fu sistemato. Purtroppo, incuranti degli sconsigli per gli acquisti, i lettori corsero in massa ad acquistare Il quaderno, che per mesi troneggiò in vetta alle classifiche dei libri.
E dire che tre anni prima lo stesso Luzzatto aveva confidato sempre al Corriere che i diversamente liberali dello Struzzo gli avevano gentilmente chiesto di cancellare dal suo La crisi dell’antifascismo ogni riferimento alla “affiliazione di Berlusconi alla P2, con tanto del suo numero di tessera”. Ma lui denunciava il “pregiudizio ideologico di un sistema culturale contro la Einaudi: lo Struzzo non ha mai rinunciato a fare un discorso culturale antiberlusconiano, indipendentemente dalla proprietà”. E come no. Lo testimoniò anche lo scrittore Walter Siti subito dopo, nel 2010: dal suo romanzo Autopsia dell’ossessione, edito da Mondadori, erano stati “rimossi” dai curatori interi paragrafi in cui B. veniva definito “peroncino” per alludere sia al dittatore argentino Perón sia alla “somiglianza fisica” del premier “con la bottiglietta della birra”, e in cui le sue telefonate con la minorenne Noemi Letizia erano descritte con l’aggettivo “bavose”. Ma Siti non se l’era affatto presa, anzi: “Il libro ci ha guadagnato. Non chiamiamola censura, loro erano imbarazzati: è stato un patto tra gentiluomini”. O fra struzzi.
In ogni caso ha ragione, anzi straragione Marina: “La nostra storia dimostra chi siamo”. Pure troppo.