Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

GreenPeace si vuole comprare le miniere di lignite – il più inquinante in assoluto fra i combustibili fossili – per poi chiuderle, e rallentare così l’effetto serra. Potrebbe essere l’ultima trovata pubblicitaria ma questa volta gli attivisti hanno dalla loro i prezzi stracciati. Ma si tratta sempre di miliardi di euro

E noi ce le compriamo. Magari è solo l’ennesima trovata pubblicitaria di Greenpeace, ma l’idea che per fermare l’effetto serra potremmo mettere mano al nostro portafoglio e comprarci le miniere e i giacimenti che l’alimentano è lanciata. A favore c’è il fatto che sono prezzi stracciati e lo saranno sempre di più. Contro, il non trascurabile elemento che, prezzi stracciati o no, si tratta, tuttora, di miliardi di dollari o di euro. Se li trovasse, Greenpeace, la più grintosa fra le associazioni ambientaliste mondiali, potrebbe diventare, l’anno prossimo, proprietaria di cinque miniere di lignite (il più inquinante in assoluto fra i combustibili fossili) in Germania. Naturalmente, per chiuderle.
La posta sul tavolo sono gli impianti tedeschi della Vattenfall, la compagnia elettrica di proprietà del governo svedese: miniere di lignite e centrali elettriche collegate, oltre a una decina di impianti idroelettrici. Il governo di Stoccolma ha imposto alla società una svolta decisa a favore delle energie rinnovabili e ha chiarito che questa strategia si deve applicare anche alle attività all’estero. La Vattenfall ha così messo i suoi impianti tedeschi più inquinanti all’asta. Purtroppo per la società svedese, non è un momento buono per vendere. Le cinque maggiori compagnie elettriche europee (fra cui non c’è Vattenfall) fra il 2008 e il 2013 hanno perso in Borsa oltre 100 miliardi di euro, il 37 per cento del loro valore iniziale. Nello stesso periodo, il contributo delle centrali a carbone alla produzione di elettricità in Europa si è ridotto del 4,2 per cento. Colpa di una crescente efficienza del sistema economico, che riesce a produrre di più consumando meno energia. Colpa anche della concorrenza di rinnovabili sempre più competitive. E, infatti, nel luglio scorso la stessa Vattenfall ha svalutato di 1,8 miliardi di euro il valore di bilancio delle sue attività con la lignite. Senza suscitare entusiasmi. A chiedere informazioni sull’asta, finora, sarebbero state, infatti, solo due compagnie ceche (Cez e Eph), più interessate, forse, agli impianti idroelettrici, anche se, fiutata l’aria, la Vattenfall ha chiarito che per avere le centrali idroelettriche bisogna comprare anche quelle a lignite.
Entra in scena Greenpeace con una formale dichiarazione di interesse, come usa nelle aste. La presidente del braccio svedese dell’associazione, Annika Jacobson, lo spiega nel modo più semplice: «Se la Vattenfall vende, chi compra userà la lignite. Invece, bisogna lasciarla sottoterra». Non è poca roba: la lignite delle miniere corrisponde a 1,2 miliardi di tonnellate di Co2, l’equivalente di tre anni di emissioni italiane. Il problema è che, anche in questi tempi grami, gli impianti tedeschi della Vattenfall, secondo gli analisti delle banche, valgono fra i 2 e i 3 miliardi di euro. La portavoce della compagnia svedese ha chiarito che “tutte le offerte serie sono benvenute”. Ma quanto è seria quella di Greenpeace? All’associazione parlano di una grande campagna di donazioni per raccogliere la cifra necessaria, di una massiccia operazione di crowdfunding che avrebbe un’eco mondiale. Fra le righe si fa capire che i tanti investitori istituzionali, dalla Fondazione Rockefeller a grandi banche e assicurazioni, che, negli ultimi mesi hanno scelto di uscire dai combustibili fossili, potrebbero essere chiamati a contribuire ad una grande operazione politica. Il prezzo stesso potrebbe crollare se, dalla imminente conferenza di Parigi sul clima, uscisse un impegno a tagliare drasticamente il ricorso a combustibili come la lignite. Resta, naturalmente, anche l’ipotesi che l’obiettivo di Greenpeace sia, più semplicemente, smascherare il bluff del governo svedese che abbandona la lignite, ma, vendendola a chi la userà ancora, non fa nulla, in concreto, per fermare l’effetto serra.