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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

L’industria italiana e la Russia, storia di una consuetudine che risale ai tempi di Nikita Krusciov

Ma che cos’è il samovar elettrico, citato da Alberto Ronchey come unica invenzione russa, di cui lei ha fatto cenno nella risposta a un lettore?

Alessia Rossetti
Padova


Cara Signora,
La parola Samovar significa «bolle da sé» e definisce una sorta di urna di metallo, molto decorata, che troneggiava nei salotti e nelle cucine delle case russe. Aveva un piccolo rubinetto alla base ed era piena di acqua bollente, riscaldata da un tubo verticale pieno di carbonella o altro carburante che passava all’interno del recipiente. La carbonella bruciava con grande lentezza e riscaldava contemporaneamente una teiera, posata sull’urna, in cui il tè era particolarmente denso e concentrato. Per berne una tazza bastava mescolare un po’ di tè con l’acqua calda. Preparato a quel modo, il tè perdeva la sua originaria fragranza, ma aveva il vantaggio di essere sempre pronto, in qualsiasi momento della giornata, soprattutto durante i gelidi inverni di questo sterminato Paese. Più che il gusto, comunque, contavano il calore e le abbondanti dosi di zucchero o miele con cui il tè è spesso bevuto in Russia. L’ironica battuta di Ronchey diceva che il maggiore progresso dello Stato sovietico nel campo dei consumi, era stato il passaggio dalla carbonella alla elettricità: un giudizio che suscitava spesso la collera della stampa sovietica.
Dietro questi battibecchi polemici vi era un problema reale di cui i sovietici, dagli anni Sessanta, divennero sempre più consapevoli. Il regime comunista si era concentrato su alcune grandi priorità: l’industrializzazione, la collettivizzazione della terra, l’alfabetizzazione delle masse, la piena occupazione. Ma aveva trascurato tutto ciò che ai suoi occhi appariva frivolo e voluttuario. Quando le nuove generazioni si accorsero che vi erano Paesi in cui una certa ridistribuzione della ricchezza era compatibile con un più alto livello di vita, Nikita Krusciov, segretario generale del partito dopo la morte di Stalin, cercò di rendere la vita russa un po’ meno spartana. I primi a cogliere l’occasione furono gli industriali italiani. La Fiat concluse un accordo per la costruzione di automobili in una città del Volga che venne ribattezzata Togliattigrad. Altre grandi industrie ottennero contratti per la costruzione di oleodotti e acciaierie. Le piccole e medie imprese offrirono industrie «chiavi in mano» per la fabbricazione di scarpe, tessili, mobili e per la conservazione di prodotti alimentari. La fiera dell’imballaggio che si teneva ogni anno a Mosca negli stand di un grande edificio, vicino all’Hotel Internazionale, era sempre piena di italiani.
Questa maggiore attenzione del regime ai consumi, come sappiamo, non cambiò la natura del regime. Ma creò fra Italia e Russia rapporti economici che divennero, dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, ancora più proficui e che attraversano oggi, dopo l’imposizione delle sanzioni, una brutta fase.