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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Sinodo sulla famiglia, vivace discussione durante la seconda giornata tra i conservatori e i riformisti, tra chi paventa l’azione del Maligno in caso di cedimenti rispetto alla dottrina tradizionale e chi professa l’accoglienza nei confronti di omosessuali e divorziati. A tranquillizzare i 270 padri sinodali e a estendere l’orizzonte del dibattito è intervenuto Papa Francesco stesso, invitando tutti a «non cedere all’ermeneutica cospirativa» e andare avanti. Il Padre generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolás: «Da solo il Papa potrebbe andare più svelto, ma non gli interessa essere una “star”: Francesco vuole camminare con i vescovi, sapere che cosa pensano, convincerli attraverso queste esperienze sinodali. Vuole il bene della Chiesa, e la Chiesa ha bisogno di tempo per cambiare»

«Dove c’è il Signore, c’è la misericordia. E Sant’Ambrogio aggiungeva: e dove c’è la rigidità, ci sono i suoi ministri!». Il Papa dice spesso l’essenziale nelle omelie dell’alba a Santa Marta. E la riflessione di ieri sulla «testardaggine» e la «durezza di cuore» che «resiste» alla misericordia divina (Giona che «si arrabbia» e arriva a «rimproverare il Signore» dopo la conversione di Ninive, il «dramma» vissuto da Gesù con «i Dottori della legge che non capivano perché Lui non lasciò lapidare l’adultera e andava a cena con i pubblicani e i peccatori: non capivano la misericordia») è significativa quanto le parole che di lì a poco ha rivolto fuori programma ai 270 padri sinodali aprendo il secondo giorno di assemblea.
Da due giorni hanno cominciato a confrontarsi i difensori della dottrina – durissimo qualche padre, in particolare il cardinale guineano Robert Sarah è arrivato a paventare l’azione del Maligno in caso di «cedimenti» – e coloro che invece insistono nell’atteggiamento «pastorale» verso il mondo: «Accompagnare le persone nella loro esistenza concreta», «aiutare chi ha sperimentato il fallimento», trovare un «nuovo linguaggio», in particolare nei confronti degli omosessuali che «sono nostri figli, fratelli, vicini, colleghi», e così via.
La relazione introduttiva del cardinale ungherese Erdö sembrava opporre i testi del magistero alle aperture discusse nel 2014 – ostia «in certi casi» ai divorziati, coppie di fatto, «accoglienza» dei gay – e ha attirato le critiche di chi diceva che così si ricominciava tutto da capo, come se non ci fosse già stata la prima assemblea. L’arcivescovo Claudio Maria Celli spiega che «il Sinodo non è un ghetto» e osserva: «C’è il respiro della Chiesa universale, la visione rimane pastoralmente aperta: se tutto fosse finito con la relazione di lunedì, che cosa ci staremmo a fare qui?».
Così ieri Francesco – quasi a rassicurare sia i conservatori sia i riformisti – ha spiegato che il testo base del quale si discute è solo l’Instrumentum laboris fondato sulla relazione finale del 2014, e che gli unici documenti ufficiali sono quella relazione e i suoi due discorsi. Quindi ha chiarito che «la dottrina cattolica sul matrimonio non è stata modificata» né «messa in questione» (come teme chi non vuole aperture) e ha invitato a «tenere presente l’ampiezza» dei problemi: «Non dobbiamo lasciarci condizionare, e ridurre il nostro orizzonte di lavoro in questo Sinodo, come se l’unico problema fosse quello della comunione ai divorziati e risposati o no». Gli argomenti discussi dai padri sono in effetti vari, dai migranti alla richiesta di un pronunciamento contro la violenza sulle donne. Francesco invita a «non cedere all’ermeneutica cospirativa» e andare avanti. Ieri pomeriggio è iniziato l’approfondimento nei tredici «circoli minori» divisi per lingua.
Mettere insieme verità e carita è possibile? «Se non lo fosse, non sarebbe possibile la Chiesa», dice il cardinale Christoph Schönborn. Padre Antonio Spadaro riassume: «Parlando di famiglia, in realtà stiamo parlando della Gaudium et spes, cioè di qual è il rapporto tra la Chiesa e il mondo».

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«Vede, il Papa non vuole camminare da solo. Certo, da solo potrebbe andare più svelto. Potrebbe essere una “star”, soprattutto adesso che ha l’appoggio della gente. Però non vuole. Non gli interessa essere una “star” e, se cammini da solo, poi viene la risacca. Francesco vuole invece camminare con i vescovi, sapere che cosa pensano, convincerli attraverso queste esperienze sinodali. Vuole il bene della Chiesa, e la Chiesa ha bisogno di tempo per cambiare». Padre Adolfo Nicolás, 79 anni, esce dall’aula del Sinodo e si avvia a piedi verso Borgo Santo Spirito. Ventinovesimo successore di sant’Ignazio di Loyola, è il Padre generale della Compagnia di Gesù. Una volta lo si definiva popolarmente «il Papa nero». Fa parte della commissione nominata da Francesco per scrivere la relazione finale del Sinodo. «Il frutto del nostro lavoro sarà consegnato al Papa che, sentiti tutti, farà il suo discernimento e deciderà».
Padre, aprendo il Sinodo il Papa ha detto: non è un Parlamento. Che cosa intendeva?
«Un’assemblea che ha come principio il Vangelo non funziona secondo la logica delle votazioni, ma è un gruppo che discerne».
Anche Francesco parla di «discernimento». Che cosa significa, per un gesuita?
«Secondo sant’Ignazio, il discernimento non può mai essere in generale, deve avvenire sempre tra due scelte: fra a e b scegliamo b perché è più d’accordo con il Vangelo».
Per questo diceva «niente compromessi»? Non si tratta di trovare una via di mezzo…
«No, è un processo nel quale uno cerca di entrare in contatto con lo Spirito Santo e trovare ciò che è più giusto fra diverse alternative, quale di esse sia più fedele alla volontà di Dio. Non un’operazione diplomatica, ma un interrogarsi serio e in profondità per sapere ciò che è meglio oggi per la famiglia, in particolare la famiglia cristiana».
Si tende a opporre dottrina e misericordia. Anche questa è una alternativa?
«No. A volte si presenta così perché la dottrina non ha incorporato la misericordia. Bisogna avere una legge, anche nella Chiesa, che sia aggiornata alla misericordia, al Vangelo».
In che senso, aggiornata?
«La legge cerca sempre un ordine ecclesiale fondamentale, però il Vangelo va sempre al di là, sempre ci lascia inermi».
Il cardinale Menichelli diceva al «Corriere» : non incateniamo la parola di Dio.
«Proprio così. Si tratta di ricavare uno spazio di misericordia nel diritto. Perché il diritto come lo abbiamo oggi, nella Chiesa, non sempre è anche misericordia. Ha dei principi, il diritto, dev’essere chiaro. La misericordia però non è chiara, ha sempre una ambiguità, poiché non possibile conoscere a fondo il cuore umano, le sue debolezze. La carità non si può normare».
Allora come si fa, davanti alle situazioni «difficili»?
«I preti sono coloro che applicano la legge, per questo studiamo il diritto canonico. Ma i preti devono sapere, come ha detto anche Giovanni Paolo II, che l’ultimo numero del diritto canonico, la legge suprema, è la salvezza delle anime. E proprio perché il Vangelo è l’ultima norma, i preti devono applicare le norme secondo il Vangelo e non il contrario».
E il contrario è successo, nella Chiesa?
«Sì. Penso a Paolo VI che diceva ai sacerdoti: questi sono i principi, però per favore siate pastori, accompagnate la gente nella sua realtà. Altri invece dicevano e dicono: bisogna essere pastori, però questi sono i principi. In apparenza è lo stesso, ma l’ordine è rovesciato».
Francesco richiama il Buon Samaritano, come Paolo VI al Concilio. C’è affinità tra i due?
«Certo. Francesco spesso non è capito bene. Lui è molto teologico e sa quello che dice la dottrina, lo sa molto bene e non la vuole cambiare. Però vuole trovare porte aperte per la pastorale. Come ha detto anche nella messa di apertura, una Chiesa che si chiude non è la Chiesa di Cristo. Propone l’apertura alla persona, in primo luogo: non i principi, ma le persone. Spero sia questa la forza che dirigerà il Sinodo».
Il cammino sinodale in due tappe è quasi un Concilio?
«È una prosecuzione del Vaticano II su temi concreti».
Nel confronto sulle situazioni «difficili» sono in gioco idee diverse di Chiesa?
«La mia impressione è che le aspettative che si stanno proiettando sul Sinodo gli siano estranee. Il Sinodo non è sui divorziati, non è sulle copie omosessuali, ma è essenzialmente sulla famiglia: come aiutare le famiglie? Alcune hanno ferite molto profonde».
Non sono considerate?
«La famiglia è minacciata dall’egoismo, il relativismo, il soggettivismo, da tutto ciò che minaccia la società. Pensi ai politici: è difficile trovarne uno che pensi al bene comune, inclusi poveri, migranti, ultimi. Tendono a pensare al loro interesse, a quello del partito».
Per questo il Papa vi invitava a «mettersi alla scuola» della famiglia?
«Certo. La famiglia suppone un sacrificio molto grande dei genitori che devono organizzarsi secondo l’interesse dei figli. La loro prima preoccupazione è: come possono vivere, mangiare, educarsi? Questo dobbiamo imparare».