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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Viaggio nella sede di Dublino, dove i nerd di Facebook custodiscono i nostri segreti. Lì dove quello che un giorno è vietato può essere permesso il giorno dopo, o in un contesto differente

Nella sede di Facebook a Dublino della sentenza appena pronunciata dalla Corte Europea non si parla. E quando finalmente arriva un commento, si nega ogni coinvolgimento: «Questo caso non riguarda Facebook. Lo stesso Advocate General ha dichiarato che Facebook non ha agito in maniera scorretta», si legge in un comunicato. «Facebook, come molte migliaia di aziende europee, utilizza diversi metodi previsti dalla normativa comunitaria per il trasferimento legale di dati dall’Europa agli Stati Uniti, oltre al Safe Harbor. È fondamentale che l’Unione europea e il governo degli Stati Uniti continuino ad assicurare metodi affidabili per trasferire in modo legale i dati e risolvano ogni problematica riferita alla sicurezza nazionale».

A Dublino, dove il caso è nato per la denuncia di Max Schrems, si trova la sede più grande di Facebook dopo quella di Menlo Park in California: nell’edificio inaugurato due giorni fa lavorano per ora 1100 dipendenti che potranno crescere fino a 2000 nei prossimi mesi. È il centro di controllo del social network per l’Europa e l’Africa. All’ingresso alcuni cartelli riportano frasi di Mark Zuckerberg: «Muoviti veloce e rompi delle cose», «Cosa faresti se non avessi paura?», «Fatto è meglio che perfetto». Dentro ci sono nerd emaciati e giovani palestratissimi; molte le ragazze di ogni nazionalità. 
Sicurezza
«Privacy e sicurezza sono il cuore del nostro sviluppo», spiega Julie de Baillencourt, responsabile europea safety e policy. Sicurezza significa diverse cose sul social network più grande del mondo, con quasi un miliardo e mezzo di iscritti e 350 milioni di foto condivise ogni giorno. Significa proteggere i dati da intrusioni di hacker, nell’interesse sia dell’azienda che dei singoli utenti. 
Civile convivenza
Sicurezza vuol dire anche disporre norme interne per regolare la civile convivenza sul social network. I post, ad esempio, non vengono analizzati uno per uno, ma ogni membro della comunità può segnalare contenuti offensivi o non pertinenti. I motivi sono svariati: si può chiedere a un amico di eliminare il tag su una sua foto, o inviargli un messaggio per invitarlo a rimuovere un’immagine dove non appariamo come vorremmo. («Ma non ci sarà mai un tasto Non mi piace», osserva de Baillencourt). Poi ci sono i casi più gravi: «Vietiamo ogni forma di propaganda al terrorismo – spiega Siobhan Cummiskey, policy manager – e segnaliamo alle autorità i post sospetti. Siamo così attivi che oggi sono le stesse organizzazioni terroristiche a imporre ai loro membri di non iscriversi a Facebook». Vietata anche qualunque discriminazione o contenuto osceno anche se «talvolta è difficile stabilire il confine tra cosa è giusto rimuovere e cosa no», ammette Cummiskey.
Controllo
Le regole di Facebook cambiano velocemente, e quello che un giorno è vietato può essere permesso il giorno dopo, o in un contesto differente. È il caso della foto del piccolo Aylan, morto su una spiaggia della Turchia. Facebook normalmente vieta le immagini con bambini oggetto di abusi o maltrattamenti, ma per questa ha fatto un’eccezione: «Serve per sensibilizzare le persone su un problema grave», osserva de Baillencourt. I contenuti sono analizzati da gruppi dedicati, composti da persone madrelingua con competenze specifiche, anche perché a volte è in gioco la vita. Nel caso di aspiranti suicidi, ad esempio, l’allarme è immediato. «È l’unico caso in cui possiamo rivelare dati personali alle autorità – spiega de Baillencourt – Dobbiamo essere molto veloci perché ogni minuto può essere decisivo».