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 2015  ottobre 07 Mercoledì calendario

Le pressioni di Obama, il format sulla Siria e il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ecco perché Renzi non può dire di no ai bombardamenti in Iraq nonostante il rischio di attacchi jihadisti durante il Giubileo. La posta in gioco è alta per un premier vuole riconquistarsi un posto sulla scena internazionale

Ventinove settembre, New York. Matteo Renzi e Barack Obama si appartano nel cuore del Palazzo di Vetro. Hanno appena partecipato alla riunione a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata al terrorismo. Ed è in quel momento che il presidente degli Stati Uniti avanza al capo del Governo italiano due richieste. La prima, mantenere il contingente italiano in Afghanistan. La seconda, alzare il livello della presenza italiana in Iraq dando ordine ai nostri quattro Tornado di stanza in Kuwait, finora utilizzati solo a supporto delle missioni aeree della coalizione internazionale contro l’Is, di bombardare le postazioni del Califfato. Il premier prende nota, pubblicamente nei giorni successivi si limiterà a confermare la disponibilità italiana a restare a Kabul.
Sottotraccia però le pressioni americane perché l’Italia bombardi in Iraq proseguono, la richiesta torna pressante da Washington, da ambienti Nato e dal governo iracheno per deflagrare in questi giorni, in coincidenza della visita in Italia del capo del Pentagono Ash Carter che ieri ha incontrato Roberta Pinotti a Sigonella e oggi farà visita al presidente Mattarella. E sembra difficile che alla fine il governo, nonostante le preoccupazioni di Palazzo Chigi e di diversi ministri, potrà dire di no agli alleati.
In queste ore Renzi insieme ai suoi consiglieri e ai ministri interessati – a partire da Pinotti, Gentiloni e Alfano – sta valutando i pro e i contro della scelta. Da un lato pesano i timori. Primo, da quasi un anno, sin dall’inizio della sua attività, l’Italia è parte della Coalizione internazionale anti-Daesh in Iraq. Ma nessun nostro militare, tanto meno i piloti, ha mai premuto il grilletto. Finora i Tornado si sono limitati a “illuminare” i bersagli dell’Is poi colpiti dai cacciabombardieri dei partner. Passare ad un ruolo attivo, si ragiona nel governo, esporrebbe il Paese già più volte minacciato dai terroristi di Al Baghdadi a ulteriori rischi attentati, a maggior ragione con il Giubileo alle porte. Oltre al rischio terrorismo, nell’esecutivo ci sono perplessità di carattere politico sulla compattezza della maggioranza di fronte a una simile scelta, con la minoranza Pd che potrebbe sfilarsi mettendo in grave imbarazzo Renzi, tanto più a pochi giorni dalla strage shock dell’ospedale di Medici senza frontiere in Afghanistan.
Anche per questo il governo, confermando che il tema è sul tavolo, ieri non si è sbilanciato, coprendosi di fronte al fatto che la richiesta formale da parte della Coalizione e di Bagdad non è ancora arrivata. Per non agitare le acque si punta a rinviare la decisione, da portare in Parlamento, più in là possibile, quanto meno dopo l’approvazione della riforma costituzionale in Senato.
A quel punto però i nodi verrà al pettine. E dire di no, confermano dietro le quinte diversi membri del governo, «sarebbe difficile». Mentre sulla Siria al contrario della Francia l’Italia mai si muoverà autonomamente, «sull’Iraq non possiamo affatto escludere un intervento», aggiungeva una fonte dell’esecutivo impegnata sul dossier.
La posta in gioco è alta, con numerose crisi aperte, Libia in testa, l’Italia non può permettersi di isolarsi. «È un prezzo da pagare per avere un importante dividendo politico», spiegava ieri un esperto del governo. Già, perché i treni che l’Italia non può permettersi di perdere stanno partendo proprio in questi giorni.
L’Italia sta combattendo una battaglia diplomatica per non essere esclusa dal nuovo format sulla Siria che la diplomazia internazionale sta faticosamente cercando di costruire, un 5+1 (membri permanenti del Consiglio di sicurezza e Germania) del tutto simile a quello formato dieci anni fa sull’Iran dal quale Berlusconi si autoescluse. E proprio sull’Iran, Renzi vorrebbe riprendersi quel ruolo di primo piano dilapidato dall’ex Cavaliere al fianco di Usa, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania. C’è poi la Libia: a breve la situazione potrebbe sbloccarsi con la nascita di un governo di unità nazionale che aprirebbe a nuovi scenari nei quali l’Italia deve giocare in prima fila, a partire dal comando della missione di pace a Tripoli. E infine la partita che si giocherà a giugno, centrale per restare in prima fila su tutto lo scacchiere mediorientale: l’Italia è in corsa per tornare nel 2017-2018 nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Se la gioca contro uno tra Svezia e Olanda (l’Europa ha a disposizione due posti a rotazione) e sfilarsi dall’Iraq non sarebbe una buona mossa in piena “campagna elettorale” per la votazione al Palazzo di Vetro. Tanto più per un paese che è stato nel Consiglio appena sette anni fa, nel 2006-2008, e che per bruciare i tempi di un suo rientro deve utilizzare tutte le credenziali possibili.