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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

L’omicidio misterioso di Dina Dore, legata e uccisa davanti alla figlioletta di otto mesi per ordine del marito: è il delitto di Gavoi, paesino del nuorese in cui a parlare sono gli uomini, mentre le donne custodiscono l’omertà. Resta ancora molto da chiarire. E intanto a farne le spese è stato un povero cane

Gavoi tira un sospiro di sollievo. Francesco Rocca, condannato come mandante dell’omicidio della moglie, Dina Dore, resterà in carcere per decisione del tribunale del riesame. L’ipotesi che potesse ottenere gli arresti domiciliari, se pure in un altro centro in provincia di Nuoro, aveva riaperto lo squarcio che, dal ritrovamento del corpo di Dina, lacera questa piccola comunità, un tempo considerata un’isola felice nella Sardegna della violenza organizzata. Ancora oggi, dopo che sia l’esecutore materiale del delitto, Pierpaolo Contu, che Rocca, che l’avrebbe commissionato, sono stati processati, la cappa di sospetti e accuse che grava su Gavoi dal 26 marzo 2008 è tutt’altro che dissolta.
Un paese sotto inchiesta
Nessuno dimentica che tutto il paese è stato al centro di un’inchiesta per sequestro di persona. Il cadavere di Dina Dore, 37 anni, è stato trovato, legato mani e piedi e imbavagliato con il nastro adesivo, nella sua automobile, parcheggiata nel garage di casa. Quasi automatico individuare lo schema, così tipicamente sardo, dell’anonima. E questo nonostante il fenomeno dei rapimenti a scopo estorsivo a Gavoi fosse storia archiviata – assieme al decennio 70-80 – e il modus operandi troppo efferato e pasticciato.
Dina è stata aggredita in un luogo protetto, davanti alla figlia di otto mesi. La bambina è stata ritrovata in lacrime, ancora legata nel seggiolino dove l’aveva sistemata la mamma. L’immagine di Dina, presa alle spalle ma capace di reagire, uccisa per “sbaglio” da sequestratori inesperti, fuggiti a nascondersi nell’abbraccio omertoso delle famiglie di origine, rispondeva, fin troppo bene, all’idea dell’enclave criminale isolana.
E invece mentre gli anziani del paese scuotevano la testa di fronte alla caduta dell’ultimo tabù della malavita sarda – mai toccare le mamme – l’inchiesta imboccava la strada della “rapina finita in tragedia”. Colpita alla testa, la Dore era stata imbavagliata per ridurla al silenzio, provocando la morte per soffocamento. I responsabili – si diceva – si nascondevano tra le case di Gavoi. Appelli ad abbattere il muro di omertà venivano lanciati dai parenti della vittima, compreso il marito. Ogni famiglia tesseva, a porte chiuse, la propria teoria del sospetto e dell’autoassoluzione. Sos mortores – assassini – a Gavoi? Possibile, ma Not in my backyard…
Sottotraccia ribolliva una narrazione parallela a quella dell’ambiente investigativo ufficiale. Persone molto ben informate sui fatti custodivano un pezzo significativo della verità sulla morte di Dina. Quasi sempre, come la vittima, erano madri, sorelle, fidanzate. In una parola: donne.
In prima fila, l’amante di Francesco Rocca, Anna Guiso. Anna ha lasciato Rocca un anno dopo la morte di Dina, perché era “ossessionato” e “violento” e temeva per la propria incolumità. Il 9 marzo del 2009, nel tentativo di riconquistarla, Rocca le ha detto: “Mi dici che cazzo di senso ha avuto tutto il resto?”. “Quale resto?” ha chiesto Anna di rimando e la risposta di Francesco, due parole che sono una confessione, è stata: “Farla morire”.
Il peso della paura
Anna ha portato per anni il peso della paura, non sapendo che altre in paese vivevano la sua stessa condizione. La madre di Stefano Lai, per esempio. Stefano era il migliore amico di Pierpaolo Contu, che avrebbe ricevuto da Rocca l’incarico di uccidere Dina in cambio di 250 mila euro e della promessa di una casa. Pierpaolo gli ha rivelato di aver ucciso la Dore, eppure Lai non ha voluto denunciarlo subito. Ha raccontato tutto, però, ai genitori. Allo stesso modo la madre di Pierpaolo, Giovanna Cualbu, sarebbe stata messa al corrente del segreto. Ne avrebbe addirittura parlato con la fidanzata di Stefano Lai, Alessia Pira.
La Cualbu nega di aver mai ammesso la responsabilità del figlio. Ma le testimonianze di Alessia e dei suoi genitori concordano: sapeva ma aveva troppa paura della famiglia Rocca per parlare. Ci sono voluti due anni perché questo segreto condiviso, trasmesso in linea matrilineare, arrivasse a un’altra donna di Gavoi, la sorella di Dina, sotto forma di missiva anonima. Una lettera che indicava moventi e responsabili, rovesciando la narrazione ufficiale, che ha rimesso in moto le indagini, portando alle condanne di Pierpaolo Contu (16 anni in appello, in attesa del terzo giudizio) e Francesco Rocca (ergastolo in primo grado).
Una lettera arrivata agli inquirenti per vie traverse, supportata dalla contro-indagine del cognato di Dina Dore. Il primo con cui il padre di Stefano Lai ha voluto parlare delle rivelazioni del figlio, stabilendo un doppio binario di genere nella narrazione nascosta della morte di Dina.
Da un lato le donne, a custodire i segreti, dall’altro gli uomini, a portarli alla luce sostenendo il peso della scelta. Poco prima della testimonianza di Stefano, al processo per la morte di Dina, il cane della famiglia Lai è stato ucciso. Per i Lai è stato un tentativo di intimidazione, il segno che, a Gavoi, qualcuno ancora muove i fili per raccontare un’altra storia, una delle tante.
C’è Francesco Rocca che, al pari di Pierpaolo Contu, proclama la sua innocenza. Ma ci sono anche gli inquirenti, ancora alla ricerca dell’uomo che ha lasciato il suo dna sulla vittima. C’era un secondo killer con Pierpaolo? Finché non verrà identificato il giallo di Gavoi, prima un sequestro, poi una rapina, quindi un uxoricidio, non sarà archiviato davvero.