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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

Ancora sangue in Israele: già 30 i crimini d’odio dall’inizio del 2015, mentre l’Europa nicchia tra il silenzio e la menzogna. Sarà Terza Intifada?

L’ultimo passante israeliano attaccato da un palestinese nel nome della Moschea di Al Aqsa è stato un ragazzino di 15 anni a una stazione di benzina. Ma ogni minuto è buono per aggiornare la lista coi nomi di qualche altro sfortunato: giovane, vecchio, mamma, bambino. Dodici ore prima, sabato sera, è stata la volta di due uomini uccisi in Città Vecchia (che ieri Israele ha deciso di chiudere ai palestinesi), una donna e un bambino di due anni feriti da un certo Muhannad Halabi di 19 anni, che ha scritto su Facebook: «...è iniziata la Terza Intifada. Ciò che accade alla Moschea di Al Aqsa, accade ai luoghi sacri e al profeta Mohammed, alle nostre madri e sorelle. Il popolo non soccomberà all’umiliazione». Sulla stessa nota giovedì sera sono stati assassinati Eitam Henkin, uno studioso dell’Università di Tel Aviv, e sua moglie Na’ama, graphic designer, tornavano (siamo in piene feste ebraiche) alla loro comunità in Samaria. È avvenuto davanti agli occhi dei loro bambini, dai 4 mesi ai 9 anni. Il bambino di 9 anni ha voluto assistere al funerale dei suoi, solo, ritto, scosso tutto il tempo dal pianto, a occhi sbarrati. Il 13 settembre Alexander Levlovitz di 64 anni ha perso il controllo dell’auto presa a pietrate ed è stato così ucciso. Il sistema delle pietre «mezzo non violento» è stato perfezionato nel tempo, i casi sono innumerevoli, gli assassini ormai corrono in auto verso chi vogliono uccidere per aumentare la velocità dei sassi e li lanciano da vicino. Nel settembre 2011 furono uccisi insieme così, uno dei tanti esempi, Asher Palmer e il suo bambino di un anno. Dall’inizio del 2015 ci sono già stati, fra pallottole, auto che investono i passanti, pugnalati, sassi, 30 morti. Fra i casi noti la famiglia Fogel sterminata a Itamar nel 2011, padre, madre, i bambini di 3 mesi, 3 anni, 11 anni. Hanno tagliato la gola a tutti.
È la Terza Intifada, come dicono molti? Il fatto è che la Seconda non è mai finita nelle motivazioni, nella forma, nell’indifferenza del mondo, nella copertura fornita dall’Autonomia Palestinese e dall’opinione pubblica occidentale. La spiegazione nazional-religiosa della rottura israeliana dello status quo circa le Moschee, è falsa. Israele non ha mostrato nessuna intenzione di cambiare gli accordi del ’67, che semmai ha subito continui cambiamenti nella restrizione delle visite degli ebrei e anche dei turisti da parte delle autorita musulmane dell’Waqf. Non si capisce perché la sovranità sulle moschee, concessa da Israele dopo la guerra dei Sei Giorni, sia diventata apartheid nei confronti degli ebrei che non entrano nelle moschee, ma si limitano a visitare il Monte su cui sorgeva il loro più importante santuario. Che poi Arafat abbia avuto la geniale trovata propagandistica di negarne l’esistenza, è solo una dimostrazione del rifiuto dei palestinesi a riconoscere il diritto di nascita del popolo ebraico. In secondo luogo, le parole di Abu Mazen («Noi benediciamo ogni goccia di sangue versata per Gerusalemme... ogni shahid raggiungerà il paradiso, la moschea di Al Aqsa è nostra, nostra la Chiesa del Santo Sepolcro, ed essi non hanno diritto di dissacrarle con i loro piedi sporchi») ricordano quelle con cui Arafat lanciò la Seconda Intifada esaltando il martirio per Gerusalemme. In realtà se le moschee sono sicure dalla barbarie iconoclasta, è perché Israele, senza nessuna pretesa se non quella, negata, di visitare la Spianata (non le moschee) le protegge. L’eventuale Terza Intifada è identica alla prima nell’indifferenza del pubblico europeo che maschera la sua indifferenza verso gli ennesimi ebrei uccisi: i palestinesi usano il terrore a causa dell’«occupazione», tanto che i prodotti della Giudea e della Smaria saranno etichettati per evitare che il pubblico li compri. È uno scandalo conoscitivo e morale. I territori devono essere suddivisi in trattative che i palestinesi rifiutano, da Barak a Olmert a Netanyahu, e la loro eventuale consegna all’autorità palestinese deve assicurare, secondo l’Onu, le garanzie per la sicurezza di Israele. Ma di quali garanzie si può parlare mentre Hamas condanna a morte Israele e Abu Mazen incita i suoi con accuse di apartheid, di pulizia etnica, di essere il nemico numero uno dei musulmani. Gli omicidi di massa in Israele sono consentiti dallo sfondo di menzogne da cui l’Europa, come finalmente ha scritto ieri Angelo Panebianco sul Corriere, deve staccarsi dichiaratamente. La Bbc ha titolato dopo l’assassinio dei due uomini in Città Vecchia: «Un palestinese ucciso dopo che un attacco a Gerusalemme uccide due persone». Questa è la verità per la maggiore rete britannica.