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 2015  ottobre 05 Lunedì calendario

L’Italia era già persa nei primi anni dopo l’unificazione. Gli aneddoti, irresistibili e disperati, di Carlo Dossi raccolti da Giorgio Dell’Arti

1. Il salone Traversi, tutto a velluti e dorature. Tappeti turchi, porcellane di Sévres. È il dopopranzo. L’Avvocato Giovanni Traversi e suo fratello, il Rettore, siedono al camino facendo asciugare al fuoco i loro moccichini di colore pieni di tabacco, grattando via questo coi loro coltelletti di cui usano insieme per tagliare le fette di pane (del tè) che mettono ad abbrustolire sugli alari. Grida l’Avvocatessa dal tavolo dove giuoca, «quand l’è che avrii fenii, o porconi!» e suona il campanello, e chiama il domestico perché porti lor via i moccichini. Poi l’avv. si alza ed esce lentamente. «L’è pien, el vacchee» diceva l’avvocatessa. E difatti il Traversi usava di farsi tutto sotto. E riempiva il dorato salone di un odor di cloaca.
Moccichini = Fazzoletti. Vacchee = Guardiano delle vacche.
 
5. Gorini, a Torino, quando fu per sottoporre al giudizio di una Commissione academica i suoi preparati tenea nella sua stanza da letto pezzi di gambe e di braccia nei cassettoni e nel comodino. Sotto il letto avea poi un bimbo essiccato – nella saccoccia dita, nel taschino del gilet bottoni scolpiti in carni impietrite ecc.
Paolo Gorini (1813-1881) è un celebre mummificatore, con monumento a Lodi, città dove è anche conservata la sua Collezione Anatomica • Il Dossi scrive «academico», «aqua», «atimo», «annedoto», «attilato», ecc, grafie a cui bisognerà abituarsi. Gli abbiamo corretto i «perchè», i «sé», ecc. in «perché», «sé» ecc.
 
4. Bianca Milesi Mojon, sorella della precedente, libera pensatrice pittrice e scrittrice di libri educativi – dava il latte a’ suoi bimbi, in piena conversazione, discorrendo intanto di estetica, di teologia etc. Assisteva alle sezioni cadaveriche, e ne portava a casa de’ pezzi. Un dì si cavò una mano di morto di tasca e la gettò sulla tavola etc.
La Bianca Milesi (1790-1849), «madre della Patria» per Manzoni  e l’avvocatessa  Francesca Milesi Traversi delle note 1-3 erano sorelle della Luigia, la nonna del Dossi (su cui vedi nota 83).
 
6. Il gen. cosacco Platoff, entrato in una casa patrizia milanese, trovò in un armadio un barattolo con entro dello spirito di vino e un pezzo di roba. Lo credette una pesca allo spirito, e però da goloso, se lo mangiò tutto con la sua bagna. Sopravenne in quella la vecchia balia di casa. «Madonna Santa!» si pose a gridare spaventata, correndo per tutta la casa – «hanno mangiato il Signor Contino!».
 
7. Si sotterravano i morti sul campo, la notte della battaglia. Gridavano alcuni feriti ai becchini…. Per carità, no che noi siamo feriti. E i seppellitori, ghignando, «a darvi ascolto, nessuno di voi sarebbe morto» e giù nella fossa.
 
9. L’ammiraglio Colognò usava di tenere in bocca uno stuzzicadenti – Morto e imbalsamato, fu esposto collo stuzzicadenti in bocca nella camera ardente.
 
14. Gorini dice che per conservare un cadavere bisogna ucciderlo completamente.
 
15. 17 marzo 1872 (domenica). Dimostrazione per la morte di Mazzini, a Roma. Simulacro de’ suoi funerali: poca gente spettatrice: assai nel corteo. Molte bandiere di società operaje, alcune delle quali ravvolte intorno all’asta in modo che sventoli la sola lista del rosso -; ma i carabinieri obbligano chi le porta a svilupparle del tutto – Fischi – Il carro, tirato da quattro cavalli bianchi con su una brutta Italia di gesso velata di nero, che stende la mano su un busto di Mazzini. Molte bandiere abbrunate, alle finestre. Il corteo muove verso il Campidoglio. Tra le aste, che circondano il carro, portanti dei cartelletti col nome di qualche martire per l’Italia, noto quella col nome di Barsanti, il fucilato per rivolta – giovane infelice, che ha diritto alle lacrime ma non alla fama – Al Campidoglio dicono parole, per fortuna poche, Avezzano e Cairoli.
 
16. Si domandò a Gorini in che modo avrebbe imbalsamato Mazzini. Rispose avere due modi: uno spedito ma che conservava per pochissimo tempo il cadavere; l’altro lunghissimo, ma che lo serbava indefinitivamente. Si passò ai voti. Dei mazziniani, i Nathan volevano che si seppellisse Mazzini senz’altro. Ma prevalse Bertani. Gorini si pose dunque al lavoro. Il corpo giaceva in istato di avanzatissima putrefazione. Era verde, era una vescica zeppa di marcia. Bertani assisteva all’esperimento. Dopo tutta una notte di tentativi, Gorini avea già perduta ogni speranza di conservarlo. Arrischiò un altro mezzo, e il verde scomparve e la marcia si coagulò. Allora si pose in cassa Mazzini per portarlo a Genova. In viaggio la cassa si ruppe e ne uscì del liquido. A Genova Gorini riprese il lavoro. In due anni, ne spera un mediocre successo.
 
26. Ad un ispettore di p.s. di Milano mio conoscente, si presentò un dì una donna, lagnandosi di suo marito parrucchiere che la trascurava, lei e i suoi quattro figli, per un’altra femmina più giovine. L’ispettore chiamò il parrucchiere e gli fece un predicozzo, rammentandogli i suoi doveri maritali ecc. Il parrucchiere si mostrò meravigliato delle lagnanze della moglie, dicendo che questa sapeva benissimo che aveva sempre qualche altra donna per le mani e ne aveva già passate quaranta o cinquanta. L’ispettore non arrivava a capire che razza di difese facesse di sé il parrucchiere: «ma si spieghi» gli fece. «È subito spiegato – rispose l’interpellato con calma – capirà benissimo, S.r Ispettore, che colla forbice non c’è troppo da guadagnare. Ora, io ho moglie e quattro figli e bisogna che li mantenga. Ho però anche la fortuna – non faccio per vantarmi – di un cazzo a tutta prova. Ci sono tante vecchie che ne hanno bisogno, poverette! ed io vado – mediante un congruo pagamento – a contentarle. Posso assicurarle in coscienza, signor Ispettore – aggiunse il parrucchiere, mettendosi la mano sul petto – che i miei quattro figli li ho tutti tirati su “colla punta dell’uccello”». Il parrucchiere infatti faceva il chiavatore di vecchie. Ne aveva 4 o 5. Serviva una al lunedì, l’altra al martedì ecc. e prendeva qua due, là tre lire. Da una cinquantenne levatrice si recava tutti i venerdì. Entrava rispettosamente nella sua camera. «Come sta, Signora?» chiedeva ecc. La vecchia era a letto. Egli le sollevava le coperte. Era già pronta con le gambe allargate. Il parrucchiere la contentava in pochi minuti, poi si pigliava le tre lire, già preparate sul comodino. La salutava ossequiosamente e spariva. La gelosia improvvisa di sua moglie dipendeva solo da ciò, che lei, sapendo come tra la di lui clientela di vecchie fosse entrata una giovine, temeva che si sciupasse pel gusto di paidopoieìn con essa l’istrumento de’ suoi guadagni domestici.
Paidopoièin, in greco antico, sarebbe alla lettera «far figli». Qui sta per «chiavare».
 
27. – Ma mettel dent – diceva una puttana al suo fottitore. – «Ma se l’è dent» – rispondeva questi. Ah sì? – faceva la puttana sorpresa, e riprendendosi – Allora… oh che gust!.
 
28. S.Agostino chiama il coito «agere negotium procurandi fructus mortis».
Darsi da fare per dar frutti alla morte.
 
40. Assai umoristica la favola milesiaca del Lucio asino – attribuita a Luciano – spec. nell’ultima parte dove una donna s’innamora di Lucio ancor asino, poi non ne vuole più sapere quando Lucio le appare in forma di uomo.
Il titolo esatto è Lucio o l’asino. Oggi si esclude che sia di Luciano.
 
43. Il padre di Hayez, povero pescivendolo dell’estuario di Venezia, presentatosi al figlio, già in fama, ne fu malissimo accolto. Querelandosene egli con un comune conoscente, e domandando questi il perché della cattiva accoglienza al crudele figlio, rispose Hayez con ira: Impari ad esser mio padre!
Francesco Hayez (1791-1882), il pittore autore del celebre Il bacio.
 
48. La suocera dice alla nuora «putana de voeuna, nissun v’ha volsuu, fin quand avii trovaa on asnon come mè fioeu». – Nuora: s’cioppee, brutta porca d’ona veggiassa! – Suocera: sont stava quindes dì amalava e s’hii mai vegnuu a trovamm – Nuora: crepavev minga l’istess!, e così via.
Voeuna = Una. Tradurrei, quindi: puttana d’una puttana. Il resto mi pare chiaro.
 
49. I villani. Nella stalla in mezzo al fimo. Anche nelle società meno sporche ci si odia, ma l’odio è almen vestito d’amore.
Fimo = Letame
 
50. La schiatta villana. L’alfabeto del villano. Par che Dio abbia loro imposto in luogo del capo una zucca. I villani son pieni di incredulità e di superstizione. Due i loro scopi, gonfiare la moglie e buggerare il padrone. Essi rubano piante, rubano grano, ruberebbero Cristo. E ti piangono sempre miseria. Inutilmente perdoni loro gli affitti, inutilmente, nelle lor malattie, stappi per loro bottiglie e fai cuocere polli. Tu non raccogli che ingratitudine – Guai poi se il villano arricchisce!
 
51. La servitù in lusso. Le donne di servizio col cappello di paglia, il manicotto di pelliccia e dentro manaccie senza guanti; la sottana di seta e il corpetto di lana. – Ho visto più di una volta la stessa carrozza che avea condotto i padroni al teatro empirsi di gente di servizio di tutte le risme e andare a mett giò in qualche osteria. E i padroni credono intanto, andando in carrozza, di schivare il contatto della porca plebe!
Mett giò = spassarsela, mettersi a sedere al tavolo dell’osteria
 
55. L’immediata conseguenza del così detto rialzamento delle nostre plebi operaje e contadinesche fu quello che diventarono, se possibile, ancor più villane di quanto erano. L’esagerata coscienza di avere riaquistati i loro diritti le rese burbanzose e scortesi oltre ogni dire, anche per la falsa persuasione che mostrandosi con qualche resto di gentilezza verso i superiori di classe darebbero indizio di timidità. Anche il clero, che, venuto altre volte da classi gentili, portava una nota di carità e di Poesia nelle plebi, oggi venuto dai più bassi fondi della società e nudrito soltanto d’odio e di teologia, diffonde sentimenti di vendetta e di crudeltà. Nelle officine, nei campi, negli uffici si gareggia in scortesia. Le arti fabbrili già dure per se stesse perché a contatto della materia bruta, aumentano, per lo spirito di rivolta, in durezza e brutalità. Il socialismo male inteso conduce alla irreligione e alla distruzione della famiglia. Eppure non era questo il socialismo fantasiato poeticamente da William Morris nella sua An history of Nowhere!
William Morris (1834-1896), manager inglese (industria tessile) ma anche pittore e designer di tessuti, poeta, scrittore, socialista, ecc. Il titolo esatto dell’opera citata dal Dossi (mai tradotta in italiano) è News from Nowhere (1890), che si potrebbe rendere con: Notizie da un posto che non c’è. Il protagonista, di ritorno da un congresso socialista, va a dormire e si sveglia poi nel mondo di domani, in cui è realizzato il controllo collettivo dei mezzi di produzione, non esistono più proprietà privata, metropoli, autorità, moneta, divorzio, tribunali, carceri, classi.
 
61. Dell’occulta famigliarità tra l’armonia musicale e la bontà.
 
72. Il mezzo-matrimonio, il matrimonio colla mano sinistra o in carta semplice – erotiche insonnie – vergini libate – impura Venus – asiatica lussuria – occhi venerei, bagnati di voluttà – injuria corporis – boutiques au péché – ami par amour – moglie d’amore – fille de joie – contava i giorni dagli amanti (Contavano gli anni, non dai consoli, ma dai mariti. Cic.) – l’intend’io – amore all’ora, alla carta etc. – divoratrice di amanti.
 
76. Fra le debolezze, Rovani avea quella di nascondersi alcuni anni di età. Nel 1872, avendogli chiesto Confalonieri quanti anni avesse, rispose 49 (mentre dovea rispondere 54), e vedendo che Confalonieri lo guardava senza parlare, soggiunse «non ne hai forse abbastanza?».
Cesare Confalonieri (1831-1902), grande amico del Dossi e di Rovani, suonava l’oboe alla Scala. Ponchielli gli dedicò un Piccolo concertino.
 
78. Manzoni, a chi gli chiedeva come mai facendo libri sì buoni, avesse fatto figli sì birbi, rispose: I libri li ho fatti col capo, e i figli col cazzo.
 
84. Una sera erano riuniti nell’ufficio del «Diritto» Depretis, Medici, Bixio, tutti pezzi d’uomini grandi e grossi. Si annunciò una rappresentanza del terzo partito per concertarsi. Entrò. Era composta dei deputati Salvagnoli, Alippi e Pasquali, tre omettini. Il contrasto suscitò l’ilarità. Salvagnoli cominciò a parlare di certa erba che egli adoperava per guarire certi dolori in un braccio. Depretis parlò di non so quali altri rimedi per le gambe: Bixio citò uno specifico per il culo e così si parlò di malanni e cerotti sino a mezza notte, ora in cui la radunanza si sciolse. Il giorno dopo, tutti i giornali si occupavano su tutti i toni della famosa intervista e delle importanti vedute che vi si erano scambiate.
«Il Diritto» era stato fondato a Torino nel 1854, grazie a un’intesa tra le varie fazioni democratiche. Molto importante dopo l’ascesa di Depretis al potere nel 1876.
 
88. Enrico III di Francia – paurosissimo, durante i temporali si facea dare clisteri di aqua benedetta per aquietar la coscienza.
 
91. La Grisi, celebre cantante dell’epoca rossiniana, aveva la frigna perpetuamente così gelata, che chi vi si introduceva, dovea tosto ritrarsi inorridito. – Un’altra donna l’avea col nervo costrittore, nervo volitivo, con cui serrava il membro introdotto fino allo spasimo.
 
92. La madre di Giuditta Pasta fece la Dea Ragione a Saronno.
 
95. Verrà un tempo, in cui col progredire della scienza statistica si potrà leggere in una paginetta di cifre e di diagrammi, tutto un trattato di psicologia, di morale, per conoscere il quale ci tocca ora di annojarci lungo centinaia di pagine e grossi volumi. La statistica saprà fare il consommé di tutto lo scibile. Avremo la morale, la storia a colpo d’occhio.
 
102. Confalonieri volea pigliarsi una moglie grande e grossa, perché ce ne fosse per lui e per gli amici.
 
105. (da Hohenlohe, 22 marzo 91) Litzt, in un concerto, stava sedendosi al piano. Entra il Re di Prussia. Tutti si alzano. Il re accenna che si continui. Litzt si guarda intorno impacciato e non comincia. Il re gli chiede la cagione del suo imbarazzo. Il maestro più a cenni che colla voce gli fa capire che una grossa baronessa berlinese si era seduta sulla partitura che Litzt aveva deposta sopra una poltrona. Guglielmo I si avvicina galantemente alla baronessa e le dice: Pardon baronessa, la partitura che ella ha sotto non è per istrumenti da fiato.
 
112. L’arte di un autore, sta nel cancellare.
 
116. T. Cremona, a braccio di mio cugino Francesco, incontra un giorno il mio babbo. Babbo costringe Francesco ad accettare una piccola somma. Via babbo, Tranquillo tira Francesco in un brougham e a galoppo e in baldoria, finché dura il denaro. – Poi si va a casa Cremona, una sol stanza, senza letto, ma con tre sedie e moltissimi stronzi. Tranquillo si cava dalle scarpe un mezzo «Secolo», e fa in mezzo alla stanza le sue occorrenze. Narra intanto a F. come il giornale gli serva per tre usi – I° di libro – 2° di calza – 3° di nettaculo. – Francesco si lagna del freddo: Tranquillo sparge sul pavimento una boccetta di spirito e l’accende – etc. etc.
Tranquillo Cremona (1837-1878), il noto pittore, anche lui del giro Dossi-Rovani-Gorini.
 
120. Lo stile del giornalismo odierno è forbice e colla.
 
126. Diogene ad Olimpia, vedendo alcuni giovinetti rodiani sfarzosamente vestiti disse «questa è superbia». Abattutosi poi in alcuni Lacedemoni con tonache grossolane e sudice, disse «anche questa è superbia».
 
158. Sulla smania dei subiti lucri, del molto guadagno con nessuna fatica, che ha invaso dopo il ’66 l’Italia. La Bancomania, l’affarismo, il tripotage – il patatrac – Chi gira la sera per le vie affollate di qualche grande centro d’affari, come Roma o Milano, e raccoglie i frammenti delle conversazioni, ode: quanti ne ha?... mi ha dato 20 napoleoni -... ci ho guadagnato 30 scudi... La prima emissione... Ventimila lire... L’aggio, due lire al pezzo... – è un’operazione sicura... le azioni danno su... due milioni... ecc. E intanto le povere arti piangono solitarie e sprezzate!
Sul 1866, l’anno della III guerra d’indipendenza in cui acquistammo il Veneto, vedi più avanti nota 426.
 
160. Nei grandi centri dell’affarismo politico o finanziario regna la cocotte, ladra, traditrice, porca. L’uomo politico o bancario, che è solitamente corrotto fin nel midollo, non gusta altra donna.
 
161. Elezione politica a Sannazzaro (Lomellina). I galoppin e i scarpon (partito dem. e partito arist.) – In generale i fittabili stanno colla sinistra (democ.) e l’hanno col governo. – Due i candidati. Il Duca di Sartirana (scarponi) e Pietro Strada (galoppini) – Esce un programma, sottoscritto da un mercante di buoi, in cui si dice che il duca non crede necessario d’intendersela cogli elettori: basta la stirpe, la nobiltà, il casato etc. etc. Ma tanto il Duca che lo Strada comprano i voti. Strada dà 3,50 ciascuno. Il duca, perfino 20 lire. – Quindi pranzi elettorali etc. etc.
 
178. A Napoli si sentono ancora persone che osano dirvi: Eccellenza, comandate un abatino? comandate un canonico?... Cavaliere, volete un testimone falso?
 
179. A Napoli, tanta era la venalità, che chi voleva esser laureato in leggi, in medicina, in matematiche, e non l’avrebbe potuto per crassa ignoranza, vi si recava e dava 200 lire al bidello. Il quale, tenendosene 100 per sé, passava le altre 100 a un quidam che facea il mestiere dell’esaminando, e or sotto un nome, or sotto un altro laureavasi qualche dozzina di volte all’anno, annuenti gli esaminatori, terrorizzati dalla camorra.
182. Il teatro napoletano è la schietta espressione del mezzogiorno d’Italia. Nelle sue comedie non vi si rappresenta che una società di scrocconi, di mentitori sfacciati, di stupratori ecc. È un teatro che, a noi del Settentrione per quanto corrotti la nostra parte, fa nausea.
 
183. In Italia tutti domandano croci, medaglie, pensione. Non c’è toscano che non sia stato a Curtatone e Montanara: stando al numero delle pensioni chieste, una cinquantina di mille uomini, un corpo adirittura di esercito avrebbe combattuto in quelle battaglie. Non c’è milanese che non sia stato alle barricate delle 5 giornate ecc. Verrà un tempo in cui i bambini nasceranno reduci delle patrie battaglie e pensionati.
 
197. Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri chiavatori contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all’anno mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese. A volte, di notte, svegliavasi di soprassalto, chiamava l’ajutante di servizio, gridando «una fumna! una fumna!» – e l’ajutante dovea girare i casini della città finché ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a S.M. La tassa era di lire 100 – ad ogni donna però, che aveva rapporti con lui, dava un contrassegno, perché, volendo, si ripresentasse. Possedeva un membro virile così grosso e lungo che squarciava le donne più larghe. Con lui molte puttane riprovarono gli spasimi dello sverginamento. Il suo dottore di Corte avea un gran da fare a riaccomodare uteri spostati. Una notte una signora che aveva ambito all’onore di giacere col re, nel lavarsi e nel cercar di torsi, dopo il coito, la tutelare spugnetta (ché S.M. di solito ingravidava) non se la trovò più. Spaventata, si diede a piangere, e ignorante di anatomia, disse al Re che la spugnetta le era entrata nel ventre. La Maestà Sua – ignorante e spaventata del pari – mandò tosto la signora dal suo medico Bruno, col seguente testuale biglietto «Caro dottore. Mi è successo un impreveduto avvenimento. La donna vi dirà cos’è. Vostro Vittorio» – E naturalmente il dottore – fra il sorriso e le risa – ripescò con molta facilità la spugnetta. – Quel Giove terrestre, quando coitava, ruggiva come un leone. Amava che le donne gli si presentassero nude con scarpettine e calzette; e fumando sigari avana si divertiva a contemplarle. Ma ad un tratto lo pigliava l’estro venereo, e le sfondava tutte – Una sera poi scrisse al naturalista Filippi un biglietto così concepito «Vi prego di mandarmi stasera nel mio boudoir un leone impagliato». E il Leone viaggiò quella sera a corte in una carrozza reale, destinato a chissà quali misteri. – Vittorio amava personalmente l’oratore Brofferio, altro gran chiavatore, cui domandava e quante volte facesse e come ecc. con quell’interesse con cui stava al corrente delle sorti d’Italia – Brofferio gli faceva poi da araldo e pacificatore colle nuove e vecchie amorose – Uno de’ sintomi della sua prossima fine, egli lo sentì pochi giorni prima di porsi a letto, quando disse in piemontese a Bruno «sa, dottore – non mi tira più; brutto segno» – Nelle sue gite di caccia a Valsavaranche era seguito da un harem di donne – Amava sopra tutte la Rosina Vercellana (poi contessa di Mirafiori) e ai figli di lei diceva: «Umberto e Amedeo sono i figli della nazione; voi i miei».
Angelo Brofferio (1802-1866), radicale democratico e scrittore, fu uno dei più decisi avversari di Cavour (e bastava questo per essere amici del re).
 
199. Si dice che una contessa B (…) di Udine, immiserita per la sua prodigalità, abbia prostituito una sua figlia di 13 anni a quel re viziatore di vergini che ha nome V. Emanuele. Sta il fatto che la contessa oggidì spende e spande – e trae in carrozza la sua infamia pei pubblici passeggi di Udine.
 
200. Era donna che facilmente veniva all’ultima confidenza.
 
202. 3-10-85 – Zanardelli, ex ministro, a pranzo da Maraini a Lugano, tra parecchi repubblicani del Cantone, affermò di non essere monarchico – (strana confessione per un ex ministro del re) ed aggiunse (e in ciò aveva ragione) che la forma di un governo non gli faceva né caldo né freddo. – Tutti i viaggi all’estero dell’on. Zanardelli si riducono a quelli di Lugano fatti nel 58, credo, e nel 85. Che idee larghe possa avere un avvocato che ha sì poco viaggiato – né viaggiò pure sui libri – è facile a capire. – Zanardelli chiama il cancelliere dell’Impero germanico: quell’antipatico di Bismarck. Zanardelli è poi ignorantissimo in tutto quanto non s’attenga alla politica parlamentare e al garbuglio forense. Gli citai qualche nome illustre di letterato, di artista, di scienziato contemporaneo: non l’aveva sentito mai a nominare. Che razza d’uomini di stato ha l’Italia!
Giuseppe Zanardelli (1826-1903), patriota e massone, fu presidente del Consiglio, presidente della Camera e varie volte ministro.
 
203. Rattazzi, al tempo de’ suoi ultimi ministeri, si vantava di non aver letto da trent’anni alcun libro – tanto era stato, senza riposo, occupato d’affari.
Urbano Rattazzi (1808-1873), varie volte primo ministro, fu prima avversario di Cavour, poi suo alleato nell’operazione detta «Connubio», poi di nuovo suo avversario. È l’uomo politico più importante del periodo successivo alla morte del conte. Dobbiamo alla sua legge del 1859 l’impianto centralista del nostro Stato, con i prefetti ecc.
 
211. Carlo Cattaneo – prima lombardo, poi italiano. Le sue olimpiche oscenità. – Da giovanetto Cattaneo (narrava egli) s’era accesa la fantasia col dubbio se la fica fosse per sbiess o per indrizz. Voleva fare esperienza. Passa di dove alcune fanciulle stavano cucendo un pagliericcio. Ne piglia improvvisamente una; la rovescia sul pagliericcio e guarda. Grida della ragazza, delle compagne, e degli accorsi parenti da tutto il cortile. Calma di Cattaneo, che parte dicendo: l’è indrizz.
Carlo Cattaneo (1801-1869) patriota suo malgrado e coinvolto controvoglia nelle Cinque giornate (di cui fu poi un protagonista), ammiratore degli austriaci (vedi nota n. 216), odiatore dei Savoia e di Carlo Alberto, federalista, repubblicano, economista, filosofo, formidabile studioso della società del suo tempo.
 
214. La duchessa di Hamilton contò al cardinale di Hohenlohe che sua figlia non voleva saperne del principe Alberto perché gli puzzava il fiato. Sposatolo a controcuore, le prime due sere la principessa gli rifiutò l’amplesso, fuggendo. Il principe ricorse alla duchessa madre la quale disse «state tranquillo, stasera ci sarò io». E difatti fu nella camera nuziale, e comandando militarmente, uno, due, tre, obbligò la figlia a farsi fottere, lei presente, dal principe.
Questa duchessa di Hamilton (Maria Amelia di Baden, sposata al marchese, poi duca, William Douglas-Hamilton, 1817-1888) è la bis-bisnonna dell’attuale principe di Monaco Alberto II, di cui l’Alberto I della nota del Dossi (1848-1922) è il trisavolo. La trisavola riluttante era lady Mary Victoria (1850-1922). Dopo la nascita dell’unico figlio, Luigi (1870-1949), il matrimonio fu annullato e lady Mary Victoria sposò in seconde nozze il conte Tassilo Festetics von Tolna, divenendo antenata anche dei Fürstenberg.
 
216. Alcuni francesi repubblicani, venuti in Italia durante la dominazione austriaca e trovatisi con Cattaneo, Maestri, Correnti ecc., si meravigliavano come la Lombardia potesse sopportare gli austriaci e facevano uno scialaquo di promesse, dicendo: verremo noi a liberarvi ecc. ecc. Cattaneo irritato dalle spampanate di costoro, uscì a dire: «Ma noi stiamo benissimo come stiamo. Questi austriaci ci fanno il soldato, ci guardano dai ladri, pensano a riscuotere le imposte, e noi non abbiamo a far altro che a grattarci, con nostro comodo, i coglioni. Vi accorgerete voi – aggiunse rivolgendosi agli amici – quando ci toccherà di fare el todesch!” – Sull’ampia e bella fronte di Cattaneo, si poteva, per così dire, passeggiare col tiro a quattro.
 
223. Un accalappiacani (sotto la dominazione austriaca) ne pigliò uno senza muserola di un ufficiale. L’ufficiale rivoleva prepotentemente il suo cane: l’altro, fedele ai regolamenti municipali glielo negava. Dopo molte parole ed ingiurie l’uff. colla spada alla mano, ordinò gli si restituisse – «Ebbene!» gridò il chiappacani «vadano allora tutti! L’è andaa el can todesch; che vaghen tutti i can talian» e aperto il carretto, li lasciò tutti fuggire. Grande sparpagliamento di cani per le gambe degli spaventati cittadini.
 
224. In una città la Giunta municipale, avendo deciso d’imporre la muserola ai cani, fece appicare a tale scopo un preventivo avviso sui canti delle vie. Un bizzarro artista prese una spugna e, bagnatala dell’umore di una cagna calda, ne asperse gli avvisi. Tutti i cani che passavano si alzavano sulle loro zampe posteriori contro i manifesti, e pareva li leggessero, poi si voltavano e vi facevano sotto una pisciatina.
 
241. Rovani narrava di Felice Romani, circuito da una spia austriaca, la quale, cercando di appiccare discorso con lui, lo abbordò un giorno in istrada per chiedergli l’ora. Cui Romani risponde: hin i quatter... ma, per carità, ch’el me comprometta minga.
 
245. Tengo estremo bisogno per ritornare d’ingegno di ridiventare ignorante.
 
267. L’Italia non  volle mai risparmiarsi un rimorso.
 
283. I tre parucchini del Senatore Massarani. Uno è di capelli corti, come se appena tagliati. Dopo una quindicina di giorni (Parr. n°. 2) i capelli diventano più lunghi. Passa un’altra quindicina (Parr. n°. 3) Massarani ha la zazzera. E subito dopo (Parr. n°. 1) si ripresenta con capelli corti, appena tagliati.
Tullo Massarani (1826-1905), patriota, scrittore, pittore (allievo di Domenico Induno). Nell’immagine che ne offre ancora il sito del Senato sembra piuttosto dotato di un notevole riporto.
 
319. 22 9bre 1877. Mia disgustosa impressione nella 2a venuta a Roma in cerca di un impiego governativo. In ogni dove sintomi ministeriali. In vagone parmi d’avere in contro un capo sezione, impettito, villano. Vò a pranzo. Tutti i tavolini occupati da cere impiegatesche. Qui in piena luce un capodivisione che mangia per cinque lire, col paletot ampio, dai risvolti di velluto e dai variopinti nastrini, il sorriso da saputello e le occhiate melliflue ecc. Là, mezzo all’oscuro, un sottosegretario il quale digiuna la sua liretta e mezza. E le parole piemontesi rispondono alle veneziane. Sior cavaliereSgnur Commendatur – Chi mai crederebbesi a Roma?... Ecco. Incontro un ufficiale d’ordine colla sua sposa incinta, pare, di quattro gemelli – poi un burbero usciere – poi... Insomma l’impiegatismo mi assalta da tutte le parti. Sentomi già le manichette di tela ascendermi per le braccia, sento la penna d’oca insinuarmisi dietro l’orecchio... Le falde del cappello mi si ammolliscono a forza di scappellate, la schiena m’indolorisce... Incalvo, incretinisco. E scappo sotto le coltri. Ma il mostro ministeriale vi si caccia con me. È un incubo di protocolli – pennacce – Eccellenze, cera di Spagna, ciondoli cavallereschi, note – tanfo impiegatorio, ecc. ecc.
 
336. Di grossi lavori di appalto che promettono pingui lucri, gl’imprenditori romaneschi dicono: è lavoro che ce se magna co la forchetta d’argento – Fra i costruttori di case della nuova Roma, corse poi il proverbio, per le case che appena murate vengono, benché non asciutte, affittate: er primo anno, è pe’ li nemici, er sicondo pe’ li amici, er terzo pe’ noi.
 
360. Mi lamentavo del male di denti. «Eppure» altri disse «ella ha dei denti bellissimi». «Eh» faccio io «due son finti» – Finti, erano invece quattro. – O perché non tacere, o almeno non mentire del tutto?
 
363. Regola fratesca e raccomandabile a chi vuol passare nel mondo, senza nome, ma senza fastidi: bene dicere de priore – facere officium suum taliter qualiter – sinere mundum ire quomodo vadit.
 
364. Nei mobili, ecc. val sempre meglio povertà scelta che lusso da dozzina.
 
372. I migliori (o per dir meglio i peggiori) gesuiti sono quelli che non sembrano tali. Chi ti si presenta col tradizionale collo torto, collo sguardo basso, colla parola untuosa e adulatrice non è che un mezzo gesuita, perché si fa scorgere; inganna a metà. Il gesuita, invece, di gran stile ti viene incontro con piglio franco, con parola generosa, con occhi che cercano simpaticamente i tuoi... E questi inganna completamente.
 
390. C’è un opuscolo De trinitate dove si pone sul serio la questione «Che cosa fanno le 3 persone della Santissima Trinità in Cielo?», e si conclude, dopo molti sottili ragionamenti, «discorrono tra loro, lodandosi vicendevolmente e continuamente».
 
398. Nullum ingenium sine mixtura dementiae.
Non c’è grande intelligenza che non abbia in sé una qualche demenza (Seneca, De tranquillitate animi).
 
419. Agostino Depretis, più volte ministro, quando si maritò colla vedovella Grassi, erano, per così dire, anni che non si lavava. A forza di tirar tabacco e di non nettarsi mai il naso, s’era formato una corteccia sul labbro superiore che pareva un pajo di baffi. Prima cura della moglie fu di lavarlo e pulirlo: la crosta fu raschiata via, ma dall’esservi rimasta sì a lungo lasciò sul labbro un segno incancellabilmente rosso che rende aspetto di una piaga.
La moglie di Depretis si chiamava Amalia Flarer (1847-1922) e s’era sposata una prima volta con l’ing. Enrico Grassi. Teneva salotto a Roma in via Nazionale 75.
 
425. Il discorso del Re. I molti che vi mettono mano. Lo si disegna in consiglio de’ ministri, poi s’incarica uno dei ministri di cucire insieme le varie membra. Membra solitamente di bestie di speci assolutamente diverse. Piedi d’elefante, su ventri di scimia e teste d’oca. Il ministro ci si prova ma non riesce. E il lavoro urge perché fra un pajo di giorni il discorso dev’essere imbeccato a S. M. Chiama il suo sottosegretario di Stato e gli affida il compito. Il sottosegretario ha quella sera un convegno dolce, né vuol perderlo. Chiama a sua volta il segretario particolare e gli passa note e appunti. Ma anche il segretario ha il suo appuntamento. Si sfoga colla fantesca, una vecchia fidata. Questa gli fa animo e gli suggerisce il nome di un giovanotto vicino d’uscio che sa scrivere. Difatti, scrive in un botteghino del lotto. La fantesca anzi glielo presenta, ed il segretario gli passa «la fatta» o meglio «il da farsi» e gli promette qualche decina di lire. E il lottajolo si mette al lavoro e alla mattina consegna il discorso, in bella calligrafia, al segretario, che lo rimette al sottosegretario di Stato che lo presenta al Ministro che lo umilia a S. M. che lo legge alle Camere!
 
441. 1a visita a Crispi (1877) mentre si fa fare la barba. 7 del mattino. Descrizione della barba crispina, ispida, monumentale. Prosopopea del piccolo barbiere paziente, taciturno. L’operazione dura una o due ore. Tutti i momenti è interrotta. Crispi, col viso insaponato, legge la sua corrispondenza e i giornali del mattino, riceve amici e sollecitatori, detta relazioni a’ suoi segretari, è scocciato dalla moglie, dà ordini al mastro di casa, fa le barzellette ecc. I modi rovaneschi di Crispi. La barba di Crispi ricorda l’aneddoto del diavolo quando vestito da forastiere andò dal barbiere che si era fatto beffe di lui e gli porse la guancia. Il barbiere gli disfece la barba da una parte, poi cominciò dall’altra. Senonché finita questa trovò che la barba dall’altra parte era ricresciuta subito. E così via, finché il barbiere scappò facendosi il segno di croce.
 
450. La Grèce en banqueroute dès sa naissance.
 
455. Erano in marsina e cravatta bianca – Si sarebbero presi per camerieri se avessero avuto un po’ più del signore.
 
461. «Se ci fosse un rosario di coglioni, Lei sarebbe un paternostro» (Cr. Negri al S.r Vigoni, ora segretario alla legazione di Portogallo).
 
465. In Italia quasi tutti i giovani, si può dire, sieno di zappa o di penna, sieno o no laureati, sappiano o non sappiano, ambiscono un impiego governativo. Basta che un impiegato dello Stato non assassini, non assalti una diligenza, non faccia qualche cosa di simile, è sicuro di non essere mai licenziato e di arrivare pacificamente all’età della pensione. Il giovine comincia quindi a raccomandarsi ai suoi e agli altrui deputati, i quali lo raccomandano ai ministri. Il giovine – come si presenta – è pronto a tutto, non desidera che di prestare i propri servizi allo Stato, per lo Stato ammazzerebbe quasi suo padre: egli accetta qualunque destinazione, qualsiasi tenue ufficio, fosse pur quello «di far animo agli altri a lavorare» (frase testuale di una petizione). Ecco, il decreto di ammissione in carriera è firmato. La scena, tosto, si muta. Cominciano le pretese del nuovo impiegato. Egli ha genitori vecchi, madre inferma, padre imbecille ecc. che vogliono la sua assistenza continua, quindi chiede un cambiamento di residenza: come biasimare questi suoi sentimenti figliali? – Da due mesi nell’impiego già accampa titoli di promozione, onorificenze ecc., sparla male de’ capi, lavora meno che può ecc.
 
469. Sulle carte geografiche del Regno delle Due Sicilie, anteriori alla costituzione del Regno d’Italia, stava segnata la gran strada delle Calabrie. Quando il Napoletano fu conquistato alla libertà, la nuova amministrazione cercò di quella gran via e non la seppe trovare – anzi nessuno glie ne potè dare notizia. Eppure negli archivi esistevano non solo i piani della stessa, ma le perizie per l’appalto dei lavori, i contratti di appalto, i verbali delle aggiudicazioni, i pagamenti rateali eseguiti dallo stato – che più? perfino i collaudi degli ingegneri. – Si noti che nel Regno delle Due Sicilie, delle somme d’introito che superavano alla fin d’anno le previsioni si dava un tanto per cento agli impiegati dei Ministeri.
 
474. Il sistema costituzionale parlamentare è il peggiore di tutti per condurre a buon fine molte imprese di utilità pubblica, per es. una strada. Logicamente, infatti, il quesito di una strada si porrebbe così: dato due località da collegare, tanti corsi d’aqua da traversare, tanti monti da varcare, tanti metri cubi di terra da scavare e tanti di terrapieno da erigere ecc. fare una strada. I termini invece della questione sono i seguenti: dato un Parlamento da corrompere, date esigenze di collegi elettorali da soddisfare, dato un ministero al quale occorrono puntelli, fare una strada. E così del resto. Per il che, furono oggi inventate le ferrovie elettorali che costano il doppio di quelle semplicemente necessarie al commercio e rimuneratrici.
 
475. Il governo costituzionale è un governo assoluto, temperato dal favoritismo (Maraini).
 
479. A San Vito, a due ore di salita da Genazzano, vi ha una lunga strada che attraversa il paese. Sul crepuscolo, quando dal pezzo di cielo che si presenta a uno sbocco di questa strada si vede il sole scendere rutilante, chi sta allo sbocco opposto scorge una gran massa nera apparire sul fondo giallo del cielo e procedere sovrammontonandosi, grufolando. Sono i majali che ritornano dalla pastura. E trottano a quattro a quattro come tanti soldati disciplinati. Ad ogni casa, ad ogni viuzza traversale, due, tre, quattro si staccano dal battaglione e scompajono negli angiporti e nelle porticine; chi sale per una scaletta di legno, chi scende per una di pietra in cantina. Ciascuno annusa casa sua e la trova. I pochi majali che arrivano alla fine del paese, prendono la corsa, sparpagliandosi nelle vicine cascine. Seguono poi i ritardatari, che hanno qualche callo, gli ammalati. Poi i porcari colle aste. – Molti bambini aspettano sulle porte de’ loro tuguri il reduce porco, e gli vanno incontro, e gli fanno festa e ne sono ricambiati con majalesche moine, come se si trattasse di cagnoletti. – Alla mattina poi, altro interessante spettacolo. I porcari attraversano la lunga via, vociando in una conchiglia marina. Tutti i porci scendono dalle loro case, appajono dalle viuzze, dagli angiporti, si attruppano militarmente e s’incamminano in schiere ordinate verso la pastura.
 
486. Il lamento di un automobilista. Pareva già che il biciclo fosse il più incomodo modo di viaggiare, ma oggi ha la palma l’automobile. Trepidazione continua, polvere, vento, aqua, perpetuo pericolo e per i viaggianti e per i passanti, pericolo di rovesciare, di saltar per aria. Maledizioni, ingiurie, lungo tutto il percorso. Non si sa quando si può partire né quando si può arrivare. Stragi di cani e di oche. Bastonate dai villani. Soste di ore sotto la pioggia, in strade isolate. L’automobilista fatica quanto un cocchiere e quanto una pariglia. Non gli è permesso di parlare co’ suoi compagni, di godere il paesaggio ecc.
 
492. Moltke sa tacere in sette lingue.