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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

Senza Wozniack non ci sarebbe la Apple. Eppure si parla sempre di Steve Jobs. Contento, Wozniack?

Si pensa ad Apple, si pensa a prodotti come l’iPhone e l’iPad e i MacBook e il pensiero va a automaticamente a Steve Jobs, l’iconico e visionario fondatore della società deceduto quattro anni fa, un uomo attento sino all’ossessione al design dei suoi prodotti e la cui ambizione era nientedimeno che cambiare il mondo.
Ma Jobs in realtà è solo il co-fondatore, perché assieme con lui c’era Steve Wozniak, per tutti Woz. O «The Woz». Tanto Jobs cercava e aveva bisogno di attenzione, tanto Woz era contento di operare nell’ombra. Jobs era il «salesman» che riuscì a vendere l’idea in quei giorni improponibile di un computer in ogni casa, Woz è quello che l’ha resa possibile. Wozniak è una figura quasi tragica: senza di lui la Apple non ci sarebbe stata ma gli onori e le attenzioni sono sempre andati a Jobs. A chi verrebbe in mente di fare un film intitolato «Steve Wozniak»? Sta uscendo invece Steve Jobs, diretto da Danny Boyle, con Michael Fassbender nella parte del protagonista e Seth Rogen che interpreta Wozniak. Alla presentazione del film il vero Woz appare gioviale e sereno, uno di quelli caratterialmente incapaci di serbare rancori.
Wozniak, che cosa prova a vedersi rappresentato sullo schermo?
«In un film c’è sempre della licenza drammatica, ma penso sia bello e recitato molto bene. E poi a me va bene tutto. Sono una persona felice. Ho scoperto a 20 anni la formula della felicità e so che la felicità non viene dal denaro. Il mio primo obiettivo nella vita è sempre stato quello di essere una persona decente. Il secondo quello di essere un grande ingegnere e di inventare dei grandi prodotti mai fatti prima. Ora tutti si misurano con il loro ammontare di potere e di denaro, ma per me non è così».
E il fatto che sin dai tempi del leggendario garage tutta l’attenzione sia sempre stata su Jobs la disturba?
«Intanto il garage non è mai esistito, nel senso che ci incontravamo lì magari due ore alla settimana per fare i piani di lancio e ascoltare Bob Dylan. Il lavoro di ingegneria, tutti i codici per l’Apple II li ho scritti io nel mio appartamento. Steve è intervenuto dopo. Lui si occupava di vendere il nostro messaggio, io dell’ingegneria dei prodotti e ho avuto un sacco di riconoscimenti dagli ingegneri, che per me è quello che conta. E conta che Apple sia ancora viva e florida, non come altre società tipo Microsoft. Oh Oh, forse non dovevo dirlo!».
Pensa che lo spirito imprenditoriale che ha portato a fondare Apple 40 anni fa sia ancora vivo?
«Assolutamente. Silicon Valley era un luogo geografico, ora è uno spirito che tutti vogliono emulare. È pieno di giovani in tutto il mondo che vogliono aprire società. C’è molta creatività, il problema è che solo pochi hanno successo».
Molti si lamentano per gli aggiornamenti degli iPhone...
«Oh, non parliamone. Vivo in un’area di Silicon Valley dove c’è pochissima banda, se lo faccio da casa ci metto 24 ore. L’ultima volta mi sono piazzato fuori da un Apple Store da mezzanotte sino alle sei e mezzo del mattino. Fortuna che nel resto del mondo le cose funzionano meglio».
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La biografia ufficiale di Walter Isaacson «rende un pessimo servizio» a Steve Jobs, ha detto Tim Cook, ceo di Apple. Ora da quel volume è stato tratto il film con Fassbender: Cook lo ha bollato come l’ennesimo «tentativo opportunistico» di sfruttare la fama del fondatore di Apple. Sorkin, lo sceneggiatore del film di Boyle, ha replicato duramente, salvo poi scusarsi subito dopo. Oggi Apple è un’azienda molto diversa da quella che era il 5 ottobre del 2011, quando Jobs morì, ma i valori e l’immagine del fondatore sono un patrimonio da difendere: così a Cupertino si sono schierati a favore di un’altra biografia, non ufficiale: in «Becoming Steve Jobs» non c’è solo il genio spietato, il guru visionario, ma anche il padre affettuoso, l’amico fedele, l’uomo attento e generoso. [B. RUF.]