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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

Mancini rivela ai giornalisti sportivi quello che i giornalisti sportivi sanno benissimo: «Quando parlate di calcio non sapete di che cosa parlate»

MILANO.
Poi arriva il giorno in cui il Mancio lo dice, papale papale, provocando l’esultanza smodata di tutti i suoi colleghi, che pensano certe cose da sempre: «In Italia parlate di difesa a 3 o a 4, di tattiche, di formazioni… Ma spesso non sapete di cosa parlate. Credete che una partita venga decisa da un modulo? Qui è pazzesco: tutti pensano di poter fare gli allenatori. Se un giornalista poi sbaglia la formazione, impazzisce… E gli ex calciatori che stanno in tv, ma le controllano le cose che dicono? Le rivedono le partite?». Roberto Mancini contro tutti, vecchia storia. È forse la sua una reazione livorosa alle critiche dopo l’1-4 con la Fiorentina e alla vigilia di un Sampdoria-Inter che non lascia tranquilli? Anche, certo, ma non solo. Da 34 anni, cioè da quando esordì 16enne in serie A, il Mancio non ha una simpatia smodata per l’ambiente, pienamente ricambiato: da giocatore e da allenatore è sempre stato un po’ per conto suo, con pochi ultra-fedelissimi tra i colleghi e tra i cronisti, mentre del resto non ha mai pensato grandi cose. Ed è rimasto così, con un distacco un po’ irridente alla Marchese del Grillo («Io so’ io, e voi nun siete un…»), un po’ perso nelle sue cose, nelle sue visioni, nella sua estetica. E ha sempre pensato, in questo perfettamente d’accordo col suo ambiente, che i giornalisti, di calcio, capiscano ben poco. L’uscita di ieri prende le mosse da qualche commento televisivo di domenica scorsa (su Rai, Mediaset e Sky), da qualche valutazione corrosiva sul suo assetto tattico, infine da qualche editoriale in settimana. «Ma non mi importa. Tanto ci criticavano pure durante le cinque vittorie di fila, no?». Sia come sia, non si può non tener conto di questo Mancio che sfotte e mena fendenti, anche per tenere la squadra al coperto dopo la prima grave sconfitta stagionale. E arriva al paradosso, sempre per tenere i suoi giocatori al calduccio: «Con la Fiorentina è stata una sconfitta assurda, non si può spiegare, hanno deciso gli episodi. Nella prima mezz’ora, anche se abbiamo preso tre gol e l’espulsione di Miranda, è stata una delle nostre migliori partite che abbiamo fatto. Salvo tutto, tranne il risultato». Ma in due di quei tre gol e nell’espulsione di Miranda si sono visti errori nei movimenti collettivi e individuali che Mancini non può non aver notato, e su cui di sicuro avrà lavorato in settimana (altrimenti non sarebbe un allenatore tra i migliori e tra i più pagati d’Europa), quindi la dichiarazione è chiaramente provocatoria. «Va tutto bene, siamo primi in classifica. Con la Samp ci attende una partita dura». Jovetic non giocherà ma sarà convocato dal Montenegro, che è in ballo per un accesso storico agli Europei: «Ma spero che non giochi: non sta ancora bene». È il giorno dell’incrocio con l’amico-nemico Walter Zenga, cui lo scorso anno soffiò la panchina dell’Inter sul filo di lana: Thohir e Bolingbroke optarono per il Mancio, anche se Zenga sarebbe costato quattro volte meno di ingaggio. Zenga forse se n’è fatta una ragione, intanto manda messaggi d’affetto: «Se dicessi che l’Inter è un avversario come un altro mancherei di rispetto a me stesso e alla mia storia». Medita un Cassano dal primo minuto, o magari è un bluff. Nell’Inter diversi ballottaggi, decisioni in extremis. Una formazione possibile è quella che vedete in questa pagina, ma se in campo ne andrà un’altra nessuno impazzirà. Del resto l’errore fa parte della vita: infatti di allenatori che sbagliano la formazione ce ne sono sempre stati un sacco e sempre ce ne saranno. Per la fortuna di chi, a cose fatte, può criticarli.