la Repubblica, 4 ottobre 2015
La teoria dei giochi e la morte di James Dean sessant’anni fa
Mercoledì scorso l’industria cinematografica ha celebrato il sessantesimo anniversario della morte di uno dei suoi idoli di celluloide: James Dean, famoso per essere morto a ventiquattro anni schiantandosi con la sua Porsche, in maniera degna degli eroi negativi da lui interpretati nei pochi film della sua effimera carriera. In particolare, gli sfaccendati di Gioventù bruciata, un titolo che riecheggia la “generazione perduta” di Gertrude Stein e i “bamboccioni” di Padoa Schioppa, e che nell’originale era Ribelli senza causa. Quel film è ancora attuale. Anzitutto, perché anticipava l’atteggiamento di vuota noia di molti adolescenti moderni, che si possono ammirare ogni sera con i bicchieri in mano di fronte ai bar delle assordanti movide cittadine. Ma, soprattutto, perché la scena in cui i teenager si sfidano a guidare a tutta velocità le loro auto verso un precipizio per vedere chi ha il coraggio di frenare per ultimo, è entrata nei manuali di teoria dei giochi. È un gioco stupido, in cui ciascuno gioca il tutto per tutto nella speranza che l’altro ceda, ma rischiando il comune disastro. Non sono solo i giovinastri a giocare questo gioco, ma anche i politici: dalla crisi di Cuba, alla corsa agli armamenti. E la teoria insegna che si tratta di un gioco che non ammette strategie razionali: dunque, meglio non iniziare neppure a giocarlo, a qualunque età.