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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

Sepp Blatter, il padrone del calcio, è ridotto a una polpetta dagli sponsor. E però insiste a non volersene andare, minacciando: «Devo prima finire il mio lavoro»

Adrone del pallone è una polpetta, e come una polpetta quel pallone rischia di essere schiacciato. Nel tritacarne degli sponsor, il corpo di Sepp Blatter viene sminuzzato ogni giorno senza che lui, in apparenza, si scomponga nemmeno di una molecola. Gli hamburger (McDonald’s) e le bollicine (Coca Cola) gli hanno appena chiesto di andarsene, senza discussioni e subito, perché il valore del calcio sta precipitando, ma lui resiste: «Non mi dimetto, devo prima concludere il mio lavoro». La classica promessa che invece è una minaccia. Somiglia a una lotta di potere, Platini contro Blatter, qualche emiro contro Platini e Blatter, invece è una spaventosa guerra commerciale. Gli scandali della Fifa stanno ridisegnando la mappa economica dello sport più mediatico e più venduto del pianeta, 3,6 miliardi di telespettatori per l’ultima Coppa del Mondo trasmessa in 192 paesi, ogni inquadratura una vetrina, ogni tifoso un cliente. Ma l’ala nera dell’etica offesa si è posata sui contratti di sponsorizzazione, sebbene a nessuno interessi un accidente dell’etica fino a quando non fa inceppare i registratori di cassa e le bande magnetiche delle carte di credito. Non si allarmano solo Coca Cola e McDonald’s, anche VISA (partner Fifa dal 2007, con un accordo fino al 2022) sta seriamente pensando di mollare l’armata Brancaleone del colonnello Sepp: «Occorre ricostruire una cultura con solide pratiche morali». Parole che fanno l’identico rumore di una ghigliottina. Perché una Fifa sporcata e un pallone infangato possono insozzare anche i prodotti sugli scaffali, e guai se la gente poi non ci crede più: altra regola non esiste nel mercato dello sport, la chimera della passione va mantenuta intatta. Però le aziende e i marchi stanno scappando quasi tutti: prima Castrol, Johnson&Johnson e Continental, adesso anche Emirates e Sony che per il mondiale russo del 2018 saranno sostituite, guarda caso, da Gazprom: ci ha pensato Putin in persona per salvare la sua coppa, proprio quella sospettata di corruzione, mentre incombono le probabili mazzette di Qatar 2022. Il nodo non si scioglie e gli sponsor se la battono. Persino un colosso come Hyundai, che rappresenta l’Asia da sempre alleata di Blatter, comincia ad avere il sospetto che il gioco miliardario non valga la candela. E sapete, a parte Gazprom, quanti nuovi contratti sono stati firmati per il mondiale 2018? Zero, nessuno. Così la Fifa potrebbe inabissarsi di fronte all’obbligo – assoluto – di recuperare almeno 6 miliardi di dollari entro il 2017, a un anno dal fischio d’inizio sotto gli occhi dello zar ma non più del Colonnello, questo è certo. Fino al redde rationem del prossimo 26 febbraio, quando finalmente Blatter dovrebbe diventare un ricordo, nessuno sponsor si espone e molti si ritraggono. «L’immagine e la reputazione della Fifa si stanno oscurando», ha scritto Coca Cola Company, mentre l’agenzia Brand Finance quantifica in 400 milioni di euro il crollo del valore commerciale da maggio a oggi. «La presenza di Blatter è un ostacolo al processo di riforme», rincara Budweiser. Il contro-spot terrorizza gli investitori e sta facendo accartocciare il mondo del calcio, perché quasi un terzo del fatturato Fifa (4,7 miliardi di euro nel periodo 2011/2014) è frutto del marketing (1,3 miliardi). Solo nel 2014, la Fifa ha avuto entrate commerciali per 382 milioni di euro. Il fatturato stesso dell’ultimo mondiale brasiliano, pari a 5,1 miliardi di dollari, alle condizioni attuali sarebbe fantascienza. Solo i contratti televisivi (2,5 miliardi di dollari) possono salvare la baracca, ma gli interessi delle tv sono intrecciati a quelli degli sponsor, e certamente nessuno accetterà di pagare ancora cifre iperboliche per un prodotto corroso, minato alle fondamenta e forse truccato. Ognuno tirerà l’acqua al proprio mulino, non esattamente bianco.