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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

Uomini di Chiesa chiedono che sia annullato il matrimonio della scrittrice Simona Vinci, perché lei s’è sposata solo perché, in caso di morte sua o del suo compagno, sia tutelato il figlioletto di tre anni

Invasione di campo: la Curia sostiene che il matrimonio civile della scrittrice Simona Vinci sia da annullare, poiché pubblicamente definito, dalla stessa sposa non proprio radiosa, «una pagliacciata». «Lo Stato – aveva scritto su Facebook la Vinci, 45enne autrice di molti romanzi pubblicati da Einaudi, Rizzoli e Mondadori – ci costringe a farlo per tutelare la nostra salute e nostro figlio». Insomma, una formalità burocratica vissuta festosamente come una rata di Equitalia. E così, nell’inserto “Bologna Sette” di Avvenire oggi in edicola, a cura della Diocesi bolognese, il giudice Paola Cipolla del Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio di Bologna afferma che quell’unione sia da invalidare: «Non si può decidere di sposarsi solo perché così si ottengono diritti e benefici che non si avrebbero secondo la legislazione vigente. Così tutto perde il suo senso, diventa un pro-forma, una farsa, una simulazione: per l’ordinamento italiano quel matrimonio è nullo, così come è nullo il matrimonio celebrato al solo fine di acquistare la cittadinanza». Che la Vinci conviva già da 9 anni con l’attuale marito e abbiano un figlio di 3, è ininfluente per il giudice. La Cipolla non ha potuto «rimanere indifferente» davanti alla notizia, riportata da Il Resto del Carlino, del rito civile che unito la Vinci a Pietro Bassi martedì scorso a Budrio, in provincia di Bologna: senza invitati, senza fotografo e come testimone un’impiegata comunale e arruolata sul posto. Spesa totale 16 euro di marca da bollo. Non esattamente «il più bel giorno della mia vita». Al settimanale della Curia, che oggi celebra il santo patrono Petronio e che spesso s’è segnalata per le posizioni conservatrici del cardinale Caffarra, ha risposto anche il sindaco officiante Giulio Pierini: «“Chi siamo noi” per giudicare i progetti di vita di quella che era già una famiglia molto prima di martedì scorso?». Simona Vinci, per essere un matrimonio di bassissimo profilo di rumore ne ha fatto… «Se il mio matrimonio non fosse stato valido penso che avrebbe dovuto dirmelo il sindaco. Perché definire una farsa la nostra unione? Conviviamo, abbiamo un figlio al quale, dopo trafila burocratica, abbiamo dato entrambi i cognomi, e il patto è stato sottoscritto… Non vedo perché la chiesa debba metter becco in una faccenda che non la riguarda». Perché, forse, basta la parola “matrimonio”. «E allora lo si chiami in un altro modo. Se il problema è la parola, lasciamo pure che la chiesa si tenga il suo matrimonio e noi laici un’altra cosa, che però tuteli i diritti civili. Il punto è che questa scelta siamo arrivati a prenderla perché il governo Renzi non ha ancora approvato il disegno di legge in materia». E anche ieri il premier ha ribadito che si farà sì, ma poi, dopo. «Ha rinviato otto volte una proposta del suo stesso partito continuando a non ottemperare a una direttiva dell’Unione Europea». E voi vi eravate stufati di aspettare. «Non avendo alternative, si accettano le regole che ci sono, ma non senza discuterle. Le si devono rispettare sebbene non siano più funzionali alla società che cambia, però almeno il diritto di dirlo lo difendiamo». Cosa vi preoccupava? «Negli ultimi anni persone a noi vicine hanno vissuto situazioni che ci hanno fatto riflettere. Ci si ammala, si hanno incidenti, è la vita: è assurdo, per esempio, che un compagno abbia meno diritto di decidere la tua sorte rispetto a un lontano parente. La cosa che mi scoccia di più è che se ne faccia sempre una questione di sesso, mentre quel che conta dovrebbe solo essere la fiducia che c’è nel rapporto tra due esseri umani. Non capisco perché la chiesa debba immischiarsi: hanno il matrimonio religioso, si occupino di quello. I patti lateranensi sono ancora in vigore, mi risulta».