Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

Pneumatici, un patrimonio da 350mila tonnellate. La produzione energetica fa da padrona in Italia, incidendo per una media del 57% sul riciclo dei copertoni a fine vita. I numeri, in crescita, rientrano in un fenomeno che si sta allargando in tutta Europa. Per non parlare degli Stati Uniti, dove il “tyre recycling” è un business che smuove miliardi di dollari

Un patrimonio di gomma, acciaio e fibre. Dalle discariche alla produzione energetica, dalle ruote sull’asfalto agli impianti sportivi per la serie A. Il recupero di pneumatici fuori uso sfrutta e ridà vita alle tonnellate di materiale impiegato nella produzione delle “gomme” installate sui veicoli. Anche in Italia, dove la rete dei soggetti responsabili individuata dal decreto ministeriale 82/2011 procede a rintracciamento e recupero del 100% dei copertoni vecchi generati nella Penisola. Una valanga stimata nell’ordine dei 35 milioni di pneumatici a fine vita e 350mila tonnellate complessive l’anno, raccolte dal lavoro incrociato di sette consorzi di produttori e importatori.
Solo per tre dei principali – Ecopneus, Ecotyre, Greentire – i dati rielaborati dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile parlano di un totale di oltre 316mila tonnellate divise tra due sbocchi per il riciclo: recupero energetico e recupero della materia. Cioè, produzione di energia dalla combustione delle gomme e riutilizzo dei materiali, scorporati da un processo di frantumazione che riduce lo pneumatico alle sue componenti essenziali: gomma, acciaio, fibre tessili.
Il bilancio tra le due anime e le due applicazioni in gioco? La produzione energetica fa da padrona in Italia, incidendo per una media del 57% sul riciclo dei copertoni a fine vita.
Il perché è semplice, almeno per i bilanci di breve periodo: conviene.
Il combustibile derivato dagli pneumatici usati vanta un potere calorifero di qualità simile a quella del carbone, di fronte a meno emissioni di CO2, meno zolfo e meno tracce di metalli pesanti nei fumi della combustione. Una miniera per tutti i giganti industriali affamati di energia, dai cementifici a centrali elettriche e cartiere.
Il recupero di materia si sta facendo strada, con una quota del 43% e un ventaglio di utilizzi che spazia dalla riqualificazione dell’arredo urbano alla mobilità sostenibile: pavimentazioni per lo sport, pannelli insonorizzanti prodotti con granula di gomma, asfalti modificati più durevoli e silenziosi, opere di ingegneria civile come ponti e gallerie.
Il potenziale c’è. I margini per dargli fiato, pure. Qualche esempio arriva da Ecopneus, leader del mercato italiano con la sua quota del 70% sulle attività di recupero pneumatici.
Secondo il consorzio, possono “bastare” 500mila tonnellate di pneumatici a fine vita per produrre qualcosa come 2.700 campi da calcio e 12.700 chilometri di manto stradale. Nel quadriennio 2011-2015 l’organismo, costituito da 103 imprese e 700 dipendenti full time, ha riesumato dai centri di generazione un picco di un milione di tonnellate di pneumatici a fine vita, distribuito in 100 milioni di pezzi singoli. A cadenza quotidiana, le tonnellate gestite sono 645: quanto basta a formare una fila di 40 chilometri e a pareggiare il peso di due Boeing 747.
All’interno del mercato nazionale resiste uno “spread” tra regioni più o meno efficienti nell’attività di recupero dei copertoni? Le raccolte più corpose si concentrano dove le sostituzioni corrono – è il caso di dirlo – a velocità superiore alla media.
Sul milione di tonnellate recuperate da Ecopneus in quattro anni, più di un terzo (355mila) arriva dalle quattro regioni dove si cambiano più spesso le gomme: Lombardia (96.170 tonnellate), Campania (82.394), Lazio (79.357) e Sicilia (77.836). Fanalino di coda la Valle d’Aosta, 318 tonnellate, spinta in fondo alla classifica, come è ovvio, più dalle dimensioni che dall’efficienza.
I numeri, in crescita, rientrano in un fenomeno che si sta allargando in tutta Europa. Per non parlare degli Stati Uniti, dove il “tyre recycling” è un business che smuove miliardi di dollari.
Un’analisi dell’edizione 2014 di «L’Italia del riciclo», report della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, stima che nel Vecchio Continente nel solo 2013 poco meno di un milione di tonnellate (942mila) siano confluite nel recupero della materia, con un 89% destinato alla produzione di manufatti e un 11% granulato e utilizzato nel ramo dell’ingegneria civile. Più del doppio, 1,9 milioni di tonnellate, sono finite nella “fornace” della produzione di energia: l’86% al servizio dei soli cementifici, il restante negli impianti di recupero energetico.
E per il futuro? I consumi di pneumatici hanno subìto più di una frenata durante la recessione, ma le stime sulle evoluzioni del settore parlano di un «aumento costante».
Il World Business Council for Sustainable Development (Wbcsd) prospetta un raddoppio dei volumi entro il 2030, con tutti gli interrogativi del caso sull’ampliamento dei mercati di recupero. O sulla loro efficienza, viste le zone d’ombra che si rilevano su scala italiana e internazionale: il rischio di un conteggio incompleto di pneumatici raccolti, i problemi di inerzia che sembrano intralciare l’innovazione, i ritardi del mercato del riciclo e costi energetici che potrebbero essere ammortizzati da una leva fiscale. Gli ostacoli ci sono, ma la ruota corre.