La Stampa, 2 ottobre 2015
Barbie in mostra, la bambola più famosa della cultura occidentale ora finisce al museo. Si è vestita Givenchy, Versace, Valentino, Fendi, Krizia, Klein, Armani o Benetton, si è ispirata a Twiggy, Farrah Fawcett, Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Grace Kelly e perfino a una giovane Melanie Griffith. Poi alla moda e allo showbiz ha preferito la famiglia con l’eterno fidanzato Ken, con lei dal 1961, le sorelle, gli amici, senza dimenticare la «scappatella» tra 2004 e 2011 con un australiano simil Backstreet Boys. Storia di una diva di plastica
Amatissima e odiatissima (troppo magra, troppo bella, frivola, convenzionale, finta…) la bambola più famosa della cultura occidentale ora finisce al museo. Per la precisione al Mudec – Museo delle Culture, dove dal 28 ottobre va in scena Barbie. The Icon, un’esposizione tutta dedicata alla figlia prediletta della Mattel: e così il prodotto industriale, figlio di un marketing innovativo e aggressivo, diventa mito pop, con tanto di ritratto del solito Warhol, testimonial di un’epoca e delle trasformazioni della metà femminile del mondo.
Barbara Millicent Roberts da Willows, Wisconsin, nasce il 9 marzo 1959 come fashion model adolescente dal castigato costume zebrato: capelli biondo rossicci, frangetta e coda di cavallo, bocca a cuore, ricorda la brava ragazza di Hollywood Sandra Dee. Dopo un anno è già redattrice di moda e nel 1963 donna in carriera. Da lì in poi nessuna professione le verrà negata, talora in anticipo sui tempi anche quelle solo maschili. Mentre parallelamente «interpreta» razze e culture del mondo con la Collezione Dolls of the World. E se l’abito da sposa è un must di ogni collezione, lei non si è però mai sposata, né ha avuto bebè.
Molto prima di Obama e del suo «Yes, I Can», molto prima del femminismo, la sua creatrice Barbara Handler le fece dire «I Can Be»: posso essere tutto ciò che voglio. Per le piccole utenti un messaggio davvero ante litteram. «Prima bambola a essere modello aspirazionale e non comportamentale», sintetizza il curatore della mostra Massimiliano Capella, studioso di arte e moda e dei loro rapporti, uomo non spaesato in un universo tanto pink, cresciuto distruggendo le Barbie della sorella e per contrappasso «condannato» a ricostruirne la leggenda. «Tutta la storia di Barbie è segnata dall’affermazione delle potenzialità femminili».
Potere rosa
Senza però mai perdere di vista il fashion. Se all’inizio lo stile è convenzionale e datato, in un secondo momento la Moda irrompe e abbigliamento della bambola è quello che si vede nelle strade delle metropoli o sulle passerelle delle capitali della moda, seppure «riletto» in chiave Barbie, tendente al kitsch, sovrabbondante, rosa. Con non casuali incursioni di grandi stilisti: Givenchy, Versace, Valentino, Fendi, Krizia, Klein, Armani... Fino a Benetton che veste bambine e bambola con gli stessi speculari abiti (2005) e Moschino che inverte l’ordine degli addendi con una collezione ispirata a Barbie (2015).
Anche trucco e parrucco cambiano: occhi meno marcati e pettinature più sciolte, sguardo diretto e vivace, labbra distese in un sorriso. Hollywood e le sue dive sono sempre meno modello di riferimento: i primi «lifting» (1967 e 1971) si ispirano a Twiggy e alle California-girls, nel 1977 è Farrah Fawcett il modello, mentre è indefinito quello di fine Anni 90 (una giovane Melanie Griffith?). È tuttavia l’indimenticabile «Charlie’s Angel» e il modello «Superstar» che a lei si ispira a fare la storia: da allora Barbie diventa bionda e con occhi azzurri, perché è così che le bambine di ogni razza e paese la prediligono. L’apoteosi nel 1992: «Totally Hair» (1992) platinata, i riccioli che scendono fino ai piedi, nata per essere pettinata, è la versione più venduta in assoluto.
La storia
È questa la storia che ripercorre la mostra «Barbie The Icon». «Who is Barbie» inquadra il fenomeno globale e industriale: bambola con fattezze di donna, che ogni bambina può declinare a suo piacere, grazie a un guardaroba sterminato, sempre rinnovato e intercambiabile. Poi le sezioni tematiche: «Barbie è moda» ne traccia il profilo come modello di stile; «Barbie Family» ricostruisce il suo mondo, l’eterno fidanzato Ken con lei dal 1961, la «scappatella» tra 2004 e 2011 con un australiano simil Backstreet Boys, le sorelle, gli amici, i gadget che ne definiscono lo stile di vita; «Dolls of the World» ne rappresenta l’anima cosmopolita e multiculturale; «Barbie Careers» è dedicata alle sue cento e più professioni; «Regina, diva, celebrity» ne vede infine l’apoteosi, ovvero la «barbizzazione» delle star di Hollywood, di grandi film e personaggi storici. Sterminata, con rari pezzi provenienti da collezioni private o dalla stessa Mattel che la produce, Barbie «per giocare» e Barbie da collezione, la mostra svela aspetti sconosciuti della sua «vita» (anche produttivi, nell’inedito video «making of» Barbie), collegandoli con fatti ed eventi contemporanei. «Attraverso di lei – sintetizza Capella – 60 anni di storia dell’Occidente». Non male per una bambola di plastica.