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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

È autunno, e piove: dovrebbe essere banale, ma l’incuria italiana per la situazione idrogeologica fa di ogni temporale una "bomba d’acqua" capace di mietere vittime. Un nuovo paradosso si è registrato ieri, a Olbia: il ponte sul rio Siligheddu, che nel novembre 2013, in seguito a una precipitazione "eccezionale", aveva contribuito a causare 13 morti, era stato poi ricostruito tale e quale a prima, ed è stato quindi necessario demolirne in fretta e furia un’arcata per evitare un’altra strage. «Ogni volta è lo stesso copione, ogni volta quando passa l’acqua e l’emotività la lezione viene dimenticata, la cura del territorio smette di essere una priorità. A Olbia ieri non è morto nessuno solo perché la pioggia è caduta al mattino e non a notte fonda come nel 2013. Forse è il caso di pensarci. Prima, non dopo»

A volte ci illudiamo di essere addirittura un Paese normale, ma poi va sempre a finire che piove. Pare succeda spesso, soprattutto d’autunno. E allora i temporali diventano bombe d’acqua, rigagnoli sconosciuti assurgono al rango di «fiumi impazziti» e via con le iperboli, quando la realtà è molto più semplice e meno enfatica. Anche il rio Siligheddu che ha fatto salire gli abitanti di Olbia sul tetto delle case è solo un torrente reso ancora più pericoloso dall’incuria degli uomini, dalla retorica dell’emergenza che prevede seri esami di coscienza subito dopo il disastro, e poi un lento ritorno alla normalità che quasi sempre significa avanti come prima. Anzi, peggio, come è avvenuto nella città sarda dove nel novembre del 2013 una precipitazione come sempre «eccezionale» causò 13 morti, tra i quali 4 bambini. Tra le cause del disastro c’era un piccolo ponte sul Siligheddu che con le sue tre campate aveva impedito il deflusso delle acque raccolte dal torrente. Ma almeno il tappo era saltato, parzialmente distrutto dalla forza della piena. C’era soltanto da rifarlo tenendo conto di quel che era accaduto, e c’era pure tempo per rifarlo bene, non si trattava certo di una grande opera. Ma con le catastrofi italiane il tempo non è mai una opportunità, è piuttosto un mezzo per lasciar defluire il lutto e infine il ricordo. E così il ponte è stato ripristinato tale e quale. Fino al paradosso di ieri, quando è stato deciso d’urgenza di far demolire un’arcata per allargare la portata del torrente ed evitare un’altra strage. Ricostruire e subito distruggere per salvare delle vite umane, questo non si era mai visto nella affollata storia delle nostre alluvioni, che pure può vantare il crollo di un argine fresco di inaugurazione, nel 2014 a Carrara, e l’eterno dramma irrisolto della strettoia sotto al Bisagno che dal lontano 1970, quando si contarono 35 morti, fa di Genova la capitale italiana dei disastri idrogeologici. Ogni volta è lo stesso copione, ogni volta quando passa l’acqua e l’emotività la lezione viene dimenticata, la cura del territorio che dovrebbe invece essere una ossessione dei nostri amministratori smette di essere una priorità. A Olbia ieri non è morto nessuno solo perché la pioggia è caduta al mattino e non a notte fonda come nel 2013. Forse è il caso di pensarci. Prima, non dopo.