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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

Situazione di stallo alla «Comune di Livorno»: il gruppo del M5S ha bocciato il bilancio del suo stesso sindaco, "Filippissimo" Nogarin. Nulla di irrimediabile, ma un sintomo della difficoltà riscontrata dai grillini nel passare dalla teoria elettorale al governo effettivo di una città complessa. «Il gruppo consiliare dei Cinque stelle resta fedele allo spirito degli inizi e teme di perdere l’anima, quindi vota contro la sua giunta. La creazione del "nemico interno" con annesso fuoco amico è quasi una necessità per tenere tutto insieme». E sul muro del municipio è già apparsa una scritta anonima: «Siamo tutti spettatori»

A fumetto, fumetto e mezzo. Altro che i briganti. E così il sindaco Filippo Nogarin commenta la bocciatura per fuoco amico a Cinque Stelle del bilancio postando sul suo profilo Facebook la copertina di un vecchio Tex, un episodio intitolato «Il supplizio», chiaro riferimento ai tormenti del Pd da lui spodestato a sorpresa nell’ormai lontano 2014. La replica democratica arriva, rigorosamente via social network, dal consigliere regionale Francesco Gazzetti, che ricorre a una ristampa di Dylan Dog, «I segni della fine».
La disputa a colpi di nuvole parlanti sarebbe da catalogare alla voce Asilo Mariuccia, non fosse per il fatto che a Livorno doveva soffiare da tempo un forte vento di libeccio e invece siamo alla bonaccia politica. Nulla si muove, il contrario di quel che doveva accadere dopo la vittoria di M5S, resa possibile dal suicidio del centrosinistra. L’ultimo atto di questa strana evoluzione si è consumato due giorni fa, quando la maggioranza pentastellata che in consiglio comunale sostiene il primo cittadino ha rimandato al mittente l’approvazione dell’atto più importante della «sua» giunta. L’atto va preso per quel che vale, una specie di messaggio in codice a Nogarin motivato con l’assenza di qualunque dato inerente Aamps, la società municipalizzata che gestisce raccolta e smaltimento rifiuti e costituisce un buco nero nelle dissetate casse dell’amministrazione. Anche in quel che resta del Pd locale, ancora in bambola dopo la scoppola subita in una roccaforte che mai avrebbe immaginato di poter perdere, sanno tutti che non ci saranno conseguenze, la richiesta di dimissioni e di ritorno al voto ha il valore di un atto dovuto.
Ma è abbastanza per chiedersi cosa stia succedendo nella Livorno divenuta insperato fiore all’occhiello di M5S dopo la vittoria di «Filippissimo», così si definiva fino a poco tempo fa l’ingegner Nogarin sul profilo di uno dei suoi molti mezzi di comunicazione online. «Siamo tutti spettatori» ha scritto una mano anonima su un muro del municipio. La disputa che paralizza la città toscana con il più alto tasso di disoccupazione, sempre più lontana dal benessere degli anni Settanta quando il porto spostava più container di Marsiglia e l’industria di Stato prosperava, può essere definita come una bega interna, oppure, a metterla giù dura, come l’eterno scontro tra teoria elettorale e pratica quotidiana che da sempre costituisce il vero banco di prova degli adepti di Beppe Grillo.
Le promesse di cambiamento si sono ridotte a una specie di spoil system fatto con tutta l’inesperienza della prima volta. Laddove c’era un esponente del Pd è però arrivato un simpatizzante dei Cinque Stelle, spesso un amico personale di Nogarin. È come se i Meet up che discutono molto e decidono poco sulle loro piattaforme si fossero intestati una forma di supplenza delle istituzioni. Sta nascendo la Comune di Livorno, ha scritto David Allegranti sul «Foglio». È vero che finora il tratto distintivo dell’opera di Nogarin consiste nel continuo appello alla buona volontà dei cittadini, chiamati a dare una mano per tenere pulite le aiuole, ma anche a vigilare sui rifiuti e sul trasporto pubblico. E questo nonostante una decisa impennata delle tasse locali.
Ma il problema va oltre la paralisi e il dissidio con la Regione guidata dal Pd Enrico Rossi, che stufo di aspettare ha di fatto estromesso Nogarin dalla gestione di Darsena Europa, 5 anni di lavori per 650 milioni di euro per costruire 1500 metri di banchine e un’imboccatura più grande del porto, progetto dal quale dipende un bel pezzo del futuro di Livorno. Il problema è proprio nella difficile mutazione genetica alla quale sono chiamati Nogarin e il M5S di governo. «Se per governare devi applicare i dogmi del Movimento, diventa tutto più difficile» dice Marco Ruggeri, l’ex candidato sindaco del Pd ormai fuori dai giochi e tornato al suo lavoro di operaio. La difficoltà nel prendere qualunque decisione è figlia del contrasto tra l’anima originaria di un movimento e il difficile compito di amministrare una città complicata. Il gruppo consiliare dei Cinque stelle resta fedele allo spirito degli inizi e teme di perdere l’anima, quindi vota contro la sua giunta. La creazione del «nemico interno» con annesso fuoco amico è quasi una necessità per tenere tutto insieme. Siamo tutti spettatori, della bonaccia livornese.