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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

Se dopo ogni strage aumenta la corsa alle armi. Zucconi: «È come se dopo un’improvvisa epidemia di morti per overdose di eroina, i cittadini si fiondassero dai pusher per rifornirsi. E il pusher sono i leader politici che sfruttano l’ambivalenza fra paura e voglia, coltivando l’industria delle armi. Il rapporto della maggioranza degli americani con le armi di fuoco è lo stesso del tossico che non riesce a strapparsi da un vizio che sa essere potenzialmente letale, ma al quale risponde aumentando la dose»

La notizia della strage arriva sempre mentre i tuoi figli, i tuoi nipoti, sono a scuola o al lavoro e non importa se il fatto accada a cento metri o mille chilometri da te: se vivi in America, nella terra dove ogni demente (semplicemente folle o lupo solitario) può essere armato come Rambo, sai che se è non questa volta, la prossima può toccare a te.
Non ci sono muri che ti proteggano dal ragazzo sconvolto con la pistola, dal dipendente licenziato, dallo studente che si crede un videogame, addirittura da bambini, come accadde in una scuola media dell’Arkansas nel ’98, perché le leggi della probabilità sconfiggono ogni illusione e non importa se l’assassino si muova nel nome di un’ideologia, di un disturbo mentale, di una isteria mistica. Chiunque sia l’autore, qualunque cosa lo muova, troverà il mezzo per esprimerla. Se là fuori ci sono 300 milioni di pistole e 20 milioni di fucili d’assalto tipo kalashnikov, M16 o Uzi, la possibilità che una mano le impugni per fare un massacro nella caffetteria di un asilo, in una chiesa della Carolina del Sud, in un piccolo college come questo dell’“Acqua Che Ruggisce”, di Umpqua, in Oregon è certezza.
Ma la paura con la quale ciascuno di noi convive ogni mattina quando una persona cara esce di casa per raggiungere la scuola, l’azienda, il supermercato, l’ufficio postale, la stazione ha un rovescio tossico, che trasforma ogni causa in un effetto o ogni effetto in una casa. È la voglia, la tentazione, di rispondere colpo su colpo. Di armarsi, come sono armati gli altri e correre dall’armaiolo per comperare a meno del prezzo di uno smartphone qualsiasi un’arma da fuoco.
Il paradosso della follia che vediamo dispiegarsi anno dopo anno, mese dopo mese in un’iterazione costante della stessa scena, è che produce non la repulsione della ragione, ma la seduzione della pazzia. Quando Harry e Dylan, i liceali di Columbine nel Colorado entrano a scuola e falciano 37 compagni e insegnanti uccidendone 13, quando Seung-hui Cho colpisce con il proprio arsenale portatile 49 persone nel Politecnico della Virginia o Adam massacra la madre che gli aveva regalato il mitra e 20 bambini in un’elementare del Connecticut, la vendita delle armi aumenta immediatamente e la gente “per bene” corre ad armarsi. È come se dopo un’improvvisa epidemia di morti per overdose di eroina, i cittadini si fiondassero dai pusher per rifornirsi.
E il pusher sono i leader politici che sfruttano l’ambivalenza fra paura e voglia, coltivando l’industria delle armi. Di fronte alle inutili e pietose geremiadi di coloro come Obama, che di fatto si sono arresi, e agli inascoltati appelli di chi osa contestare il diritto di comperare e di portare armi – come in Oregon – senza serie limitazioni, il solo paragone possibile è appunto la tossicodipendenza. Il rapporto della maggioranza degli americani con le armi di fuoco è lo stesso del tossico che non riesce a strapparsi da un vizio che sa essere potenzialmente letale, ma al quale risponde aumentando la dose. Anche il Community College di Umqua, l’antico nome indiano del corso d’acqua “fragorosa” che scorre nella contea, era “Weapons Free Zone”, un’area dove è formalmente proibito portare o introdurre armi. Ma tutti sanno quanta “roba” circoli e sia ampiamente disponibile nelle “Drug Free Zone”, nelle scuole, nei parchi, negli edifici pubblici dove le droghe sono proibite. I pusher delle armi non sono in Oregon, in Colorado, in Carolina del Sud. Sono a Washington.
Coloro che vivono negli Stati Uniti non sono più malati di mente, più violenti, più criminali degli uomini e delle donne che vivono in Italia, in Argentina, in Gran Bretagna, o in Corea del Sud, in nazioni dove la strage a raffiche resta – ancora – una frazione minuscola del crimine violento. È la universale, capillare diffusione di strumenti di omicidio di massa ciò che traduce la malattia mentale in massacro, la lite coniugale in omicidio multiplo, la disperazione personale in mini olocausti.
Non esiste neppure alcuna comoda scappatoia sociologica o formuletta culturale per spiegare una tragedia continua che ha soltanto nella tossica disponibilità di armi la propria causa. Stragi sono state compiute da bianchi e neri, da anziani e ragazzi, da benestanti e da poveri, da secchioni e da asini, da maschi e da femmine, come la neurobiologia e professoressa universitaria Amy Bishop che risolse una lite in consiglio di facoltà alla Università dell’Alabama – evento normale in ogni facoltà della galassia – facendo secchi a rivoltellate tre colleghi. Se il virus dell’Ebola avesse prodotto in un anno i morti che un fucile automatico ha fatto ieri in mezz’ora nell’Oregon, porti e aeroporti americani sarebbero stati sigillati, campi di quarantena creati, reparti militari schierati, furibondi discorsi pronunciati.
Invece sappiamo, con certezza, che in questo preciso momento, vicino alla nostra scuola, al cinema dove andremo questa sera, al palazzo di uffici o alla fabbrica, c’è un mentecatto eccitato dalla strage nell’Oregon con la voglia di imitarlo. E se, per un improbabile, impensabile caso, oggi un vento di razionalità dovesse cadere come lo Spirito Santo in una Pentecoste del Congresso – quello che farisaicamente applaudiva Papa Francesco appena una settimana fa mentre implorava di non vendere più armi grandi e piccole – e spingerlo a qualche legislazione più restrittiva, si ripeterebbe la corsa all’acquisto delle armi, come avvenne quando fu approvato il bando ai fucili da guerra.
Non accadrà, specialmente nel pieno di una campagna elettorale che vede un plotone di repubblicani che si sgomitano per scavalcarsi a destra e un pugno di democratici terrorizzati all’idea di violare il tabù delle armi. I morti seppelliranno i morti, i vivi andranno ad armarsi per diventare portatori della stessa infezione, della stessa tossicodipendenza. Piangeranno per un giorno, magari portando le bare dei bambini a Sandy Hook e organizzando fiaccolate con flebili candeline al vento. Mentre la guerra dell’America contro se stessa continua.