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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

La calligrafia, dagli amanuensi ai tablet. Clayron, un ex monaco benedettino, ricostruisce la storia della scrittura a partire dal mondo antico, per arrivare ai caratteri a stampa. I suoi eroi, ad esempio Nicolò Niccoli, sono ignoti a più, sebbene dobbiamo proprio a loro se le lettere del computer, quelle che voi state leggendo. Perché la scrittura oggi è dappertutto, non è certo morta. Si è trasformata. Come? Diventando più efficiente, chiara, e insieme immateriale

Riaprono le scuole. Sui banchi delle elementari siedono da parecchi anni le generazioni «digitali». Dall’età di dieci anni, o forse anche prima, i bambini usano cellulari, tablet, lavagne elettroniche. Si connettono, scambiano messaggi, cercano contenuti, scrivono. In quante scuole s’insegna ancora la calligrafia? Poche. 
A Palo Alto
Le generazioni analogiche hanno cominciato a scrivere tracciando aste con pennini e calamai; esisteva persino un voto per la bella o brutta scrittura. E oggi? Si scrive di più, sempre meno a mano. Le scritture personali sono sovente illeggibili; grafie tremule, oscillanti, aggrovigliate che forse faranno la gioia dei grafologi, ma che spesso risultano indecifrabili agli stessi autori. Forse il libro giusto per educatori, docenti e insegnanti, c’è ed è uscito da qualche tempo. S’intitola Il filo d’oro(Bollati Boringhieri), l’ha scritto un calligrafo, Ewan Clayton, monaco benedettino, poi ricercatore presso il centro della Xerox a Palo Alto, da cui vengono molte delle creazioni informatiche che usiamo, per fondare infine un Centro Internazionale di Ricerca Calligrafica nel Sussex. 
Una carriera davvero inconsueta, che unisce due cose in apparenza opposte. Del resto, in un momento di grande cambiamento nell’uso della parola scritta risulta importante capire cosa muore e cosa sopravvive dell’antica consuetudine di tracciare lettere a mano. Clayron ricostruisce la storia della scrittura a partire dal mondo antico, per arrivare alle stanze dove sono stati disegnati i caratteri con cui scriviamo ogni giorno testi, messaggi, appunti, promemoria. La scrittura oggi è dappertutto, non è certo morta. Si è trasformata. Come? Diventando più efficiente, chiara, e insieme immateriale. L’ex monaco benedettino spiega come sono sorti i caratteri a stampa debitori della calligrafia utilizzata nei secoli precedenti, di cui traccia una dettagliata storia. I suoi eroi, ad esempio Nicolò Niccoli, sono ignoti a più, sebbene dobbiamo proprio a loro se le lettere del computer, quelle con cui io ora sto scrivendo o quelle del giornale di carta (o supporto elettronico) su cui voi state leggendo, sono agevoli, eleganti ed efficaci. 
L’eredità analogica
Il tratto più affascinante della storia è probabilmente l’ultimo, quello vicino a noi, quando una schiera d’inventori di caratteri ha preparato le lettere di cui servirci, perché, e qui sta la tesi centrale di Clayton: la calligrafia ha contribuito in forma decisiva a modellare, oltre alle lettere a stampa, anche quelle digitali. Quando alla fine degli anni Sessanta del XX secolo stava per rompersi l’intera cornice concettuale e dimensionale, che chiudeva in sé cinquecento anni di conoscenze acquisite nel campo della tipografia e dei caratteri tipografici (R. Southall), c’è stato chi ha trasferito la forma delle lettere da una tecnologia all’altra.
Steve Jobs
Tutti sanno che Steve Jobs ha seguito un corso di calligrafia, dopo aver abbandonato il corso di laurea all’università di Portland nell’Oregon. Jobs è stato allievo di Robert Palladino, a sua volta allievo di Llyod Reynolds, che insegnava grafica e di cui Clayton racconta la carriera e prerogative tecniche. Quando nel 1984 Apple adottò un’interfaccia grafica utente per il Mac incorporò secoli di pratiche calligrafiche e tipografiche migliorando di colpo l’esperienza visiva dello schermo. La tradizione manoscritta entrò da quella porta nell’era digitale modellandola. La conseguenza fu un continuo travaso dal passato al presente attraverso i programmi di scrittura di nuovi disegni dei caratteri. Il saccheggio sapiente della calligrafia e della tipografia, sua erede meccanica, fu continuo e inarrestabile. La calligrafia tuttavia è declinata nelle scuole di tutto il mondo. Ad assestarle un colpo è stata la convinzione, introdotta dalla psicologia scientifica e dalle teorie di apprendimento di Jean Piaget, che la scrittura dovesse diventare una disciplina più flessibile: la calligrafia rifletteva la personalità individuale e perciò non era più il caso d’imporre un modello unico e rigido di stile.
La danza delle dita
L’avvento delle penne stilografiche e della penna a sfera, inventata nel 1931, ha modificato la calligrafia di almeno tre generazioni di ragazzi. Clayton fa notare come la nascita dei graffiti urbani sia coeva alla nascita della rete elettronica, quasi che l’espressività grafica sui muri dei giovani sia stata un contrappeso alle prime scritture dei computer. Che ne sarà della calligrafia? Anche se non è più insegnata nelle nostre scuole, non scompare del tutto. Ci sono corsi e laboratori che la insegnano, e si sta affermando l’idea, promossa ad esempio dallo psicologo Daniel Stern, che si tratta di un «affetto vitale». Gli elementi che costituiscono le singole lettere rappresentano sottili combinazioni di affetti, quasi una danza delle dita e della mano, un fraseggio musicale, una coreografia teatrale, o altro ancora di ritmico; è il «grafismo», come l’ha chiamato Leroi-Gourhan, la capacità che l’uomo ha sviluppato di esprimere pensieri e sentimenti utilizzando simboli concreti. Quelli stessi che ora leggete qui.