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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

Lo strano destino di Rolando Maran, sfidare la Juventus ultima in classifica con il suo Chievo in testa al Campionato: «Si è capovolto il mondo. Questo è un posto particolare, ci trovi una tranquillità e una solidità impagabili, ma se non vivi il Chievo con serietà e senso d’appartenenza può essere un boomerang, perdi la giusta tensione agonistica. Per riuscire bene qui, devi fare una ricerca su te stesso. Sono uno che gira pagina in fretta, non rimugino. Sa cosa diceva David Livingstone? “Sono pronto ad andare ovunque, basta che sia in avanti”»

«Se mi dite che con la Juve è un testacoda sorrido, si è capovolto il mondo». Rolando Maran ha occhi vispi e un pizzetto accennato, la mimica mescola timidezza e autoironia. Primo trentino ad allenare in A («Nato e cresciuto a Trento», precisa), vive a Vicenza, ha due figli: Elena studia web marketing, Gianluca fa il terzino nel Giorgione. Passa la mano sulla pelata e confessa di non rimpiangere nulla, neanche i boccoli rossi di quand’era stopper e capitano, al Chievo.
Maran, domani c’è Juve-Chievo alla terza e il Chievo ha 6 punti. Successe già nel 2001: 3-2 della Juve in rimonta dopo una papera di Buffon.
«Beh, stavolta proviamo a cambiare la storia. Però la Juve non meritava due sconfitte, ha dimostrato in Supercoppa che resta la favorita per lo scudetto, anche se le altre si sono avvicinate. E Allegri è un amico, uno disponibile al confronto, come Pioli, ci sentiamo spesso. Il momento è bello, stiamo godendo tutti, ma restiamo concentrati sui nostri veri obiettivi. Questo è un posto particolare, ci trovi una tranquillità e una solidità impagabili, ma se non vivi il Chievo con serietà e senso d’appartenenza può essere un boomerang, perdi la giusta tensione agonistica. Per riuscire bene qui, devi fare una ricerca su te stesso».
Lei ci arrivò nel 1986.
«Io e il club abbiamo debuttato insieme fra i pro’, nella vecchia C2. Sono rimasto nove anni. Venivo dal Benacense Riva, prim’ancora dalla Primavera del Trento. Siamo saliti in B con una partita memorabile a Carrara all’ultima giornata. Poi Valdagno, Carrarese, Fano: la mia vita calcistica sta tutta qui. Ero un difensore muscolare, l’avvento della zona mi ha aiutato a leggere le partite. Sono diventato allenatore convinto dai miei ultimi tecnici: Silvio Baldini mi ha voluto con lui, sempre al Chievo, ho cominciato qui».
Il suo modello di calcio?
«Chiedo alla mia squadra d’essere protagonista delle situazioni, di non vivere d’attesa, di incidere anziché subire. Serve autostima, voglia di provarci. Gli altri saranno più bravi, ma devono dimostrarcelo. Vale per la Juve, varrà per tutti».
La chiamano ancora Rolly?
«È il soprannome che m’è rimasto nell’ambiente. I miei genitori amavano nomi insoliti: siamo tre figli, Lino, Florio, selezionatore della rappresentativa trentina, e io. Mamma Renata casalinga, papà Rino aveva un’impresa di pitture e isolazioni, la portano avanti i miei fratelli. Ci lavoravo come garzone ai tempi della scuola: non avessi fatto l’allenatore, ora sarei lì».
La panchina la stressa?
«Per me, il vero stress è star fermi. È pur vero che noi allenatori siamo minati e ci chiudiamo per autodifesa, in un ambiente che cerca sempre il caso, il dettaglio poco limpido. Siamo umani, possiamo sbagliare una mossa senza che ci sia un retroscena eclatante. Ma se poi ammettiamo l’errore, l’atto di colpa e di sincerità diventa un segno di debolezza. All’estero puoi essere te stesso, almeno credo. Da noi troppa ansia, si perde di vista la gioia della partita».
Che allenatore è Maran?
«Leale, schietto. Do rispetto e lo pretendo, altrimenti mi irrigidisco. Fatico a vedermi come personaggio. Ho costruito tutto sul lavoro: posso vincere o perdere, ma sono sempre in pace con me stesso. Alleno a porte aperte, uso i rilevatori gps, non i droni, bastano le telecamere fisse. La mia tesi a Coverciano era sul posizionamento della difesa sui calci d’angolo: ho creato tavole didattiche per i giocatori, gliele faccio trovare nei posti più impensati, così non le perdono d’occhio…».
Lei ha firmato per i prossimi tre anni con opzione per altri due. Una durata anomala.
«Non ditelo a Campedelli, sennò ci ripensa… È un attestato di stima, vogliamo programmare».
Un giocatore del Chievo che ci sorprenderà?
«Inglese: non ha ancora debuttato ma ha grandi potenzialità».
Cosa fa quando non allena?
«D’inverno scio, mi fa star bene. Il cinema mi aiuta a staccare la spina. Amo il vino, come il Valpolicella Ripasso: né da guida Michelin né da tavola, ma un vino di qualità, con il giusto equilibrio, che si fa apprezzare. Come il mio Chievo».
Ce l’ha un rimpianto?
«Sono uno che gira pagina in fretta, non rimugino. Sa cosa diceva David Livingstone? “Sono pronto ad andare ovunque, basta che sia in avanti”».