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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

«Il derby? Una sfida interessante fra due squadre che sono ancora un cantiere». Dalla Piazza Rossa di Mosca, parla Fabio Capello. Il Signore degli scudetti benedice la scelta del Milan di puntare su Mihajlovic, spende parole di stima per Mancini e fotografa il momento di crisi del calcio italiano che, rispetto all’estero, in più ha solo «le chiacchiere dopo le partite e i dibattiti sulle radio locali»

Affacciato sulla Piazza Rossa, il Signore degli scudetti (rastrellati fra Milano, Torino – poi revocati —, Roma e Madrid), dopo aver concluso la sua esperienza da c.t. della Russia e preparandosi al ritorno in campo nelle vesti di commentatore per Fox, benedice la scelta del Milan di puntare su Mihajlovic, spende parole di stima per la competenza di Mancini e fotografa il momento di crisi del calcio italiano.
Fabio Capello, dal suo osservatorio di Mosca, che derby si aspetta?
«Una sfida interessante fra due squadre che sono ancora un cantiere. Mihajlovic, con gli acquisti fatti in anticipo, ha avuto più tempo per trasmettere le proprie idee, anche se poi si arrabbia perché non vede in gara i frutti del lavoro. Mancini, bravissimo, uno che conosce i giocatori, ha avuto i nuovi innesti solo negli ultimi giorni di mercato. Ecco perché vedo il Milan un po’ più avanti a livello di progetto».
Adriano Galliani ha detto che Mihajlovic le assomiglia. È d’accordo?
«Assolutamente, è il tecnico che lavora in Italia in cui più mi riconosco. Tempo fa ci incontrammo a Dubai, quando Sinisa era il c.t. della Serbia, e nell’occasione mi espose le sue idee di calcio. Per molti versi coincidono con le mie».
Abituati ad allenatori protettivi verso i giocatori, Miha ha rotto con la tradizione. È giusto lavare i panni sporchi in pubblico?
«Considerando che sotto le gestioni precedenti i risultati non erano eclatanti, penso che fosse necessaria una svolta nella gestione. Sinisa chiede professionalità e impegno: è giusto che quando si sbaglia ci si faccia un esame di coscienza».
Non c’è il rischio che il pugno di ferro provochi crepe nello spogliatoio?
«Macché, alla fine Mihajlovic pretende serietà e rispetto. C’è gente che si alza la mattina alle 6 per andare in fabbrica, noi lavoriamo tre ore al giorno... Esige una vita d’atleta, la puntualità agli allenamenti, un comportamento civile durante le sostituzioni in campo. Il pugno di ferro è un’altra cosa».
Secondo lei riuscirà a vincere la scommessa Balotelli?
«Dipende solo da Mario, da nessun altro. Il ragazzo ha tutte le qualità ma se agisce come ha fatto finora sa già dove va a finire».
Mancini invece, un po’ come lei, è bravo a farsi comprare i giocatori forti...
«Eh ma bisogna saperli scegliere... Quanti l’Inter ne ha comprati in passato e poi buttati via? E poi scusi io ho portato in Italia Ibrahimovic quando aveva 20 anni e non lo conosceva nessuno».
L’Inter ha una rosa più completa del Milan?
«Sulla carta sì ma Mancini avrà bisogno di tempo per assemblarla».
Ai suoi tempi il Milan aveva stabilito il record di abbonamenti con quasi 72 mila tessere. Ora si fatica a riempire gli stadi: solo perché ci sono meno campioni?
«Un tempo il livello tecnico era altissimo. Poi nel frattempo la crisi economica si è fatta sentire. I disordini tengono lontane le famiglie: le leggi per reprimere certi fenomeni ci sono ma in Italia non vengono rispettate. Senza contare che gli stadi sono già obsoleti nonostante molti siano stati costruiti venticinque anni fa, non un secolo, per Italia ’90».
Il calcio globalizzato ha condotto Milano a guardare verso Oriente. La stupisce?
«Sono favorevolissimo se arrivano le risorse che consentono al calcio milanese di tornare ad alti livelli. I più grandi club europei sono nelle mani di magnati russi o arabi».
L’uomo derby per il Milan?
«I due attaccanti, Bacca e Luiz Adriano, mi piacciono molto».
Il pericolo nerazzurro?
«Icardi».
Chi vede favorito?
«L’Inter sulla carta ha qualcosa in più ma nel derby storicamente il Milan a sorpresa si trasforma».
Dove si decide la sfida?
«A centrocampo, come sempre».
Dove possono arrivare le milanesi?
«Credo che la zona Champions sia l’obiettivo per entrambe da centrare a tutti i costi».
Lei ha lavorato in quattro Paesi diversi, cosa ha in più il calcio italiano rispetto agli altri campionati?
«Le chiacchiere dopo le partite e i dibattiti sulle radio locali».
Che cosa rimpiange dell’esperienza all’estero?
«Gli stadi di proprietà che sarebbero fondamentali anche da noi per garantire il salto di qualità. Poi la civiltà dei tifosi che, al Clasico ad esempio, si recano affiancati senza incidenti con la maglietta del proprio club. Una volta il nostro fiore all’occhiello erano i settori giovanili, ora abbiamo abbandonato anche quelli».
È ancora in contatto con il presidente Berlusconi?
«Ogni tanto ci sentiamo, ora so che qui in Russia a trovare Putin».
È mai emersa negli ultimi anni la possibilità di tornare al Milan?
«No».
Non le è ancora venuta nostalgia della panchina?
«Direi che la carriera fatta, per il momento, è sufficiente».