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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

Breve ritratto di Luigi Di Maio, un Casaleggio senza i capelli ricci. Lui, ventinove anni, avellinese di nascita, ma una vita trascorsa a Pomigliano d’Arco, «la Stalingrado del Sud», rappresentante degli studenti al liceo, presidente del consiglio degli studenti all’università, legge Montanelli, Pertini e Ainis e poi arriva la folgorazione, quella per il Movimento. E tra banchetti, serate da cameriere in pizzeria per raccogliere fondi, si arriva all’elezione e al ballottaggio tra lui e Artini che vince, anche senza il supporto del padre. L’ex dirigente d’area An non se la sente di votare il figlio

Leader, volto, anima istituzionale. Negli ultimi mesi le definizioni – tra i militanti e non solo – di Luigi Di Maio si sono moltiplicate. L’investitura di Beppe Grillo è solo una conferma, anche se lui, il più giovane vicepresidente della storia della Camera, si defila dalle discussioni. Gli attivisti? «Non ripongono fiducia in me, ma speranza in noi». La stima del capo politico dei Cinque Stelle? «Non è una novità. Ricordo che già a marzo 2014 disse “Di Maio è un Casaleggio senza i capelli”: lavoriamo insieme e ci fidiamo l’uno dell’altro, così come si fidano di me molti miei colleghi. E questo è un onore e ne sento la responsabilità». Lui, ventinove anni, avellinese di nascita, ma una vita trascorsa a Pomigliano d’Arco, «la Stalingrado del Sud», ha conquistato il Movimento partendo dalle 59 preferenze ottenute alle Comunali 2010 (non venne eletto e incontrò Grillo per la prima volta) e dalle 189 alle Parlamentarie del 2013, chiave di volta per accedere a Montecitorio.
Eppure la scintilla per la politica per Di Maio non l’ha fatta scoccare Grillo o Gianroberto Casaleggio, ma Antonio Cassese, suo professore di Storia e filosofia ai tempi del liceo. Il deputato Cinque Stelle l’ha raccontato a Brescia, un paio di settimane fa. «Mi disse che fare politica non significava essere rosso, bianco o nero, ma occuparsi delle cose concrete come il riscaldamento della nostra scuola». Primi anni duemila: Di Maio diventa rappresentante degli studenti del liceo Imbriani per tre anni consecutivi e poi si ripete anche all’università Federico II dove è presidente del consiglio degli studenti. Abbandona la passione per il nuoto. Si immerge in letture che diventano i suoi punti di riferimento. «La storia d’Italia» di Indro Montanelli (scritta con Roberto Gervaso e Mario Cervi), «Il libretto rosso di Pertini»: un doppio pilastro a cui Di Maio aggiunge, in seguito, «La cura» di Michele Ainis. Proprio al periodo universitario (2007), risale la folgorazione per il Movimento. Una strada senza troppi frutti agli inizi. Anche suo padre Antonio, fedele al centrodestra – ex dirigente d’area An, non se la sente di votare il figlio.
Tra banchetti, serate da cameriere in pizzeria per raccogliere fondi e kermesse vissute da spettatore – come la Woodstock 5 Stelle del 2010 a Cesena – fa il suo cammino. Si arriva ai giorni successivi all’elezione. Il Movimento deve scegliere un rappresentante istituzionale. Al ballottaggio vanno Di Maio e Massimo Artini, futuro dissidente, espulso dai Cinque Stelle lo scorso novembre: il deputato campano strappa il 70% dei consensi tra i suoi colleghi.
Da lì è un crescendo. Partecipa ai tavoli con Matteo Renzi (che lo bolla come «tosto» nell’incontro-scontro con Grillo), diventa uno dei membri del direttorio. La base lo sostiene. Pochi mesi dopo lo sbarco in Parlamento, al Giffoni Experience, dichiara: «Mi sento un po’ come Superman che sta capendo che poteri ha». Oggi commenta: «Mi riferivo all’aiuto che stavo dando a degli operai di Caivano. Era la prima volta per me e sono riuscito a rendermi utile. Ora conosco bene le mie prerogative. E si può fare tanto, anche se siamo all’opposizione».