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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

La Cina apre il mercato dei cambi. Il premier Li annuncia: le banche centrali straniere potranno acquistare direttamente yuan. La mossa di Pechino è da inserire negli sforzi del governo cinese per l’inserimento della propria valuta nel paniere di monete che compongono i Diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale, aggiungendosi al dollaro, all’euro, alla sterlina e allo yen, e dovrebbe rendere più semplice per le banche centrali straniere la possibilità di detenere asset in yuan

La Cina sembra concentrare i suoi sforzi soprattutto sullo yuan. Infatti le Banche centrali avranno accesso al foreign exchange di yuan sul mercato cinese, stando alla promessa lanciata ieri dal premier Li Keqiang. La Cina aprirà dunque alle banche centrali straniere il mercato forex. «Non molto tempo fa abbiamo permesso alle banche centrali straniere di partecipare al mercato dei bond interbancari – ha dichiarato il premier cinese -. Il prossimo passo è quello di permettere alle banche centrali straniere di partecipare direttamente al mercato interbancario del foreign exchange».
La mossa di Pechino è da inserire negli sforzi del governo cinese per l’inserimento della propria valuta nel paniere di monete che compongono i Diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale, aggiungendosi al dollaro, all’euro, alla sterlina e allo yen, e dovrebbe rendere più semplice per le banche centrali straniere la possibilità di detenere asset in yuan.
Altro effetto della decisione, secondo gli analisti, sarà quello di rendere il tasso di cambio dello yuan onshore maggiormente riconosciuto a livello globale.
La Cina inoltre è pronta a lanciare entro fine 2015 una nuova piattaforma in yuan per i futures sul greggio. Le operazioni verranno condotte allo Shanghai International Energy Exchange (Ine), e la nuova piattaforma è destinata a diventare un rivale globale del Brent quotato a Londra e del Wti – West Texas Intermediate – il benchmark per il greggio statunitense. Il nuovo contratto costituirà il riferimento per il greggio «medium sour», la varietà di petrolio preferita nei Paesi asiatici, importato in gran parte dal Medio Oriente. Secondo le ultime indiscrezioni provenienti dal settore, i futures sul greggio quotati all’Ine di Shanghai saranno scambiati su volumi di cento barili, invece che sulla base di mille barili, come avviene per il Brent e il Wti.
La nuova piattaforma punta ad aumentare il ruolo della Cina nel fissaggio dei prezzi del greggio e nell’internazionalizzazione della propria valuta, lo yuan. Le voci attorno alla nascita del nuovo contratto si susseguono da mesi e, secondo quanto comunicato a luglio scorso dalla Banca centrale cinese, potranno entrare nel mercato dei futures cinesi sul greggio anche gli investitori stranieri qualificati, che dovranno aprire conti correnti denominati in yuan nelle banche designate per le operazioni sul mercato.
Non esiste ancora una data certa per l’inizio delle contrattazioni, anche se i più ottimisti danno il via della nuova piattaforma già all’inizio del prossimo mese di ottobre, mentre per altri le recenti turbolenze dei mercati avrebbero rallentato le decisioni sull’inizio delle contrattazioni.
Tornando ai fondamentali, ieri in Cina l’inflazione di agosto è stata del 2%, rispetto all’1,6 di luglio, si tratta del livello più alto in un anno e di un elemento positivo perché lo spettro deflazione ovvero il calo dei prezzi che porta nel medio periodo a un calo di investimenti e alla recessione sarebbe ora un’ipotesi remota.
Il National Bureau of Statistics (Nbs) ha anche diffuso il dato del crollo dei prezzi alla produzione del 5,9% in agosto (il peggiore dal -7% registrato a settembre del 2009) e più negativo del -5,4% registrato a luglio. In generale il trend è sempre più negativo anche perché il calo di agosto è il 42esimo consecutivo.
Ma se in apertura lo Shanghai Composite perdeva lo 0,9 per cento la situazione nel corso della giornata è peggiorata. L’ipotesi che la deflazione sia svanita per sempre è molto remota, almeno a giudicare dalle performance del Giappone, afflitto da tempo immemorabile da questo problema. Per la Cina più che l’inflazione pesa la flessione della produzione, ormai certificata da una seria negativa di dati rilevati mensilmente.