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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

Blindati BTR82A, camion, veicoli, munizioni, fucili, sistemi anti-carro: così Putin vuole salvare Assad. Mosca sostiene di aver mandato un’avanguardia da non più di 50 elementi «però siamo pronti a schierarne altri». Per ora hanno tre compiti. Allargamento delle installazioni all’aeroporto di Jableh in modo da poter ospitare un contingente robusto. Installazione di una rete di comunicazione sulle alture. Creazione di un dispositivo che gestisca un ponte aero-navale. In questo settore sarebbe attiva anche una postazione capace di captare e monitorare le comunicazioni

Bashar Assad era ancora un bimbo quando i russi hanno aperto la loro prima base a Tartus. Era il 1971, allora i siriani decisero di concedere l’uso di un punto d’appoggio logistico per le navi di Mosca. Uno scalo, neppure troppo grande, ma importante. E non lo hanno mai abbandonato. Oggi moli e gru fanno parte del piano lanciato da Vladimir Putin per sostenere Damasco. Un programma che poggia su tre pilastri per il momento irrinunciabili in quanto necessari a tutelare gli Assad e gli interessi del Cremlino. Visione che geograficamente trova il punto di sintesi nel cosiddetto corridoio di Latakia, che parte dalla costa e va verso Est, come nel cantone alawita, che scende verso Sud. Davanti il nemico. La miriade di formazioni ribelli e l’Isis che il regime non ha mai considerato come il target primario.
Tartus è uno dei terminali chiave. Qui arrivano non armi segrete ma materiale bellico che deve riempire le scorte dell’esercito locale. Blindati BTR82A, camion, veicoli, munizioni, fucili di migliore qualità, sistemi anti-carro. Tutto quello che serve in un conflitto dove spesso si sparano da una casa all’altra, con i pesanti tank che rischiano di finire in trappola. E infatti i lealisti ne hanno perso centinaia distrutti da missili Tow e Kornet.
Il secondo approdo è quello di Latakia, destinato a diventare la piattaforma per i rinforzi. Mosca lo ha detto senza nascondersi: abbiamo mandato un’avanguardia, non più di 50 elementi, però siamo pronti a schierarne altri. Americani e israeliani ritengono che siano di più. I libanesi sostengono che alcuni avrebbero partecipato ai combattimenti. Per ora hanno tre compiti. Allargamento delle installazioni all’aeroporto di Jableh in modo da poter ospitare un contingente robusto. Installazione di una rete di comunicazione sulle alture. Creazione di un dispositivo che gestisca un ponte aero-navale. In questo settore sarebbe attiva anche una postazione Sigint (da «signal» e «intelligence»), per captare e monitorare le comunicazioni.
Il terzo snodo è l’aeroporto di Mezze, alle porte della capitale, in grado di accogliere i grossi Condor A 124 e Ilyushin 76 che fanno la spola dalla Russia con carichi umanitari e militari. Gli ostacoli frapposti da Ucraina e Bulgaria li costringono a qualche deviazione, però continuano ad essere segnalati. Possibile anche la presenza di nuovi caccia, forse pilotati da personale russo. Mig e Sukhoi acquistati in virtù di vecchie intese, così come i droni. Sbarcati negli ultimi giorni anche alcune centinaia di pasdaran iraniani.
Molto agile la rotta marittima. È la flotta del Mar Nero con le sue navi da assalto anfibio a svolgere il ruolo di mulo logistico. In parallelo si muovono i mercantili. Di veramente nuovo c’è poco. Sono mesi, anni, che lo fanno. Soltanto che ora tutti ne parlano, anche da Mosca. È vero, però, che a volte «giocano». Prendiamo il cargo A. Tkachenko, con a bordo camion dell’esercito. La compagnia aveva comunicato che era diretto a Port Said, Egitto. Peccato che seguendone il viaggio sul web si è visto che ha virato verso Oriente in direzione di Tartus. È quella la meta? Al largo, a vegliare, alcuni sottomarini.
Quanto ai reparti mobilitati gli esperti indicano l’810ma brigata di fanteria di marina, la stessa impegnata in passato in Ucraina e ritenuta ben addestrata. Unità che integra i molti «consiglieri» che da tempo assistono la difesa aerea e la IV divisione corazzata della Guardia, forza d’elite costretta a un superlavoro per colmare i problemi di un esercito malmesso. Discreta la missione degli specialisti dell’intelligence. Quelli del Gru fanno il loro mestiere di spie, i cugini dell’Svr, attraverso il nucleo di teste di cuoio, si occupano di sicurezza. Ora che aumentano i numeri dovranno stare in guardia. Un capitano diventa un bersaglio di grande valore per gli insorti. Morto o rapito. E la storia consiglia di stare in guardia.
Il 16 agosto del 2010 trovano sulla spiaggia di Cevlik, Turchia, il corpo di un uomo annegato. Si scoprirà, il 28, che si tratta del generale Iuri Ivanov, numero due del Gru, in visita a Latakia. Secondo la versione ufficiale era uscito per una nuotata. Da solo, senza scorta. Non è più rientrato. Una strana fine, non l’unica.