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 2015  settembre 10 Giovedì calendario

Siriani che scappano, russi che arrivano e Assad che recupera terreno grazie al caos che regna nel paese. Le forze d’opposizione jihadiste si sono moltiplicate, ma sono in aperta tensione tra di loro. Così, tra un raid e un dialogo lui non è più l’uomo da abbattere, forse da sostituire con il suo accordo, nell’ambito del suo regime

I siriani fuggono dalla patria in guerra, e gli stranieri si impegnano sempre più numerosi nel cielo e sulle pianure della Siria in guerra. Mentre migliaia di profughi provenienti dalla valle del Tigri e dell’Eufrate cercano rifugio in Europa, il campo di battaglia in quella regione è sempre più affollato. Ultimi arrivati, con una forza aerea, sono i francesi finora impegnati soltanto in Iraq. I russi sono da tempo sul posto con le loro armi, di cui è dotato l’alleato regime di Damasco. Ma di recente si è scoperto che Vladimir Putin manda anche soldati di terra che si battono indossando le divise dell’esercito di Bashar Al Assad.
Francesi e russi si aggiungono a decine di combattenti di altre nazionalità: dagli americani che intervengono dal cielo con droni o apparecchi pilotati, alle milizie sciite inquadrate spesso da iraniani; dai paesi arabi che si limitano a vaghi interventi aerei e si guardano bene dall’impegnare truppe a terra, perché troppo rischioso e troppo difficile riconoscere i veri alleati dai veri nemici, ai paesi occidentali i cui aerei fanno poco più di un atto di presenza, a fianco degli Stati Uniti. In quanto ai miliziani dei gruppi jihadisti, provengono da decine di contrade diverse: probabilmente, almeno qualcuno, dalla Brianza, come dal Pashmir.
La mischia ha alle sue origini la lotta contro la dittatura di Bashar Al Assad, del quale si è pensato spesso che fosse sul punto di perdere il posto. Si pensava che la sua destituzione fosse la soluzione del dramma. Ha usato impunemente i gas, superando la “linea rossa” tracciata da Barack Obama; ha compiuto stragi; torturato e affamato popolazioni ostili. E persiste. La sua immagine non è cambiata. È forse mutato il ruolo che gli si vorrebbe assegnare.
Ha l’appoggio della Russia, alleato tradizionale della Siria anche per le regioni musulmane russe limitrofe, e dell’Iran, perché come appartenente alla setta alawita è religiosamente imparentato con gli sciiti. Dei quali la Teheran degli ayatollah è la principale capitale. Israele è invece avversario di Bashar Al Assad. Un tempo era un nemico quasi gradito perché teneva tranquillo il confine israelo-siriano del Golan. Adesso la situazione non è più la stessa. Gli Hezbollah libanesi, pure loro sciiti e nemici attivi dello Stato ebraico, sono spesso un braccio di Teheran e quindi rappresentano un consistente aiuto per Damasco.
Oggi al confine israelo-libanese del Golan le organizzazioni sanitarie dello Stato ebraico curano i feriti delle milizie jihadiste operanti nella zona. Compresi quelli del Califfato. Il quale si è guardato bene finora dall’attaccare Gerusalemme. In quanto nemico dell’Iran e del suo alleato regime di Damasco, Israele ha buoni rapporti con l’Arabia Saudita contraltare sunnita dell’Iran sciita.
Bashar Al Assad trae grande vantaggio da queste intese incrociate, spesso contraddittorie, e il più delle volte cangianti secondo le situazioni e i luoghi. Il medico, oggi raìs, succeduto a Hafez Al Assad per caso, in seguito alla morte del fratello maggiore, si è rivelato tenace quanto il padre, un generale d’aviazione e un dittatore geniale e crudele, tanto da essere chiamato, con eccessivo riguardo, quando era in vita, il Bismarck del Medio Oeriente.
Bashar recupera terreno grazie al caos che regna nel paese. Le forze d’opposizione jihadiste si sono moltiplicate, ma sono in aperta tensione tra di loro. Il Califfato che domina la scena è in contrasto con Al Nusra, emanazione di Al Qaeda. E la forza armata (“laica”) che per prima sfidò il regime degli Assad, non avendo ricevuto l’aiuto immediato dei paesi arabi moderati e dell’Occidente, è diventata marginale. Questa rissosa situazione, in cui i suoi avversari si combattono tra loro, si sfibrano in lotte di clan, dettate da rivalità valutabili per l’intensità del fanatismo religioso, o animate da settarismi o ambizioni di capi, favorisce Bashar.
Daesh (acronimo di Stato islamico, o Califfato) mantiene tuttavia alcune posizioni che gli danno un’indiscutibile superiorità rispetto agli altri gruppi jihadisti. Ha ad esempio da più di un anno alcuni suoi uomini insediati nel sobborgo di Hadjar al-Aswuad dal quale hanno appena lancia- to un’offensiva nel vicino quartiere di Qadam, a pochi chilometri da Damasco. Alla frontiera Nord con la Turchia la perdita di Tall al-Abyad a profitto dei curdi, i più efficaci combattenti contro Daesh, non sembra avere indebolito la sicurezza di Rakka, la “capitale” più a meridione. E il transito tra Siria e Iraq non è stato interrotto ai miliziani.
In Siria, Daesh ha però un nuovo, serio problema. Dopo avere tollerato a lungo i passaggi d’armi e di jihadisti, la Turchia impone controlli più severi. E Ankara ha finito per aprire la sua base aerea di Incirlik agli aerei americani e ha deciso di attivare una lotta contro Daesh.
Tutti questi fatti non insidiano seriamente il Califfato, ma danno respiro a Bashar Al Assad. Gli occidentali non ne chiedono più la partenza brutale, cioè la cacciata, ma la sua sostituzione attraverso un negoziato. In realtà i rapporti tra Assad e gli occidentali sono in corso da tempo. Gli aerei o i droni americani non potrebbero volare nel cielo siriano senza un’intesa con Damasco. Dove si è ben contenti di vedere gli occidentali dare la caccia a Daesh, il suo più serio avversario, senza colpire le basi governative. Se combatti il mio nemico non sei per forza un mio alleato, ma neppure un nemico pericoloso. Al massimo un avversario innocuo. Sembra il caso del presidente francese.
François Hollande non nasconde la poca stima, anzi l’odio per Bashar Al Assad. Vorrebbe cacciarlo dal potere, ma al tempo stesso i francesi devono avere rapporti con lui. Per volare nello spazio aereo siriano, come gli americani prima di loro, essi devono tecnicamente accordarsi con le autorità di Damasco. Altrimenti rischiano di scontrarsi con i Sukhoi, aerei russi in dotazione alle forze governative. Inoltre bombardano i nemici del regime di Bashar Al Assad. Senza toccare il suo esercito. L’arrivo in massa dei profughi ai confini europei ha intensificato l’attività politica. Per non alimentare l’ondata di rifugiati si cerca di moderare il maremoto. Di spegnere il vulcano siriano. E una soluzione negoziata con Bashar Al Assad non è più vista come un’eresia. Non è all’ordine del giorno. Ma lui non è più l’uomo da abbattere, forse da sostituire con il suo accordo, nell’ambito del suo regime. Il cratere mediorientale non si trasforma tuttavia facilmente in un fuoco d’artificio.