Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 10 Giovedì calendario

Scattone, tra indignazione e diritto di riscatto. Ecco perché l’uccisore di Marta Russo deve poter tornare a insegnare. Spiega Giovanni Valentini: «Mettiamo da parte i sentimenti e le emozioni, per cercare di ragionare in termini civili. Dopo un lungo e controverso processo, Scattone è stato condannato per omicidio colposo. Non volontario. Ha scontato interamente la pena (cinque anni e quattro mesi), senza beneficiare di amnistie o condoni. Ed è quindi, a tutti gli effetti, un libero cittadino. Per di più, in considerazione della sua buona condotta, è stato formalmente riabilitato dal Tribunale di Roma. Nel suo dolore di madre, la signora Aureliana lamenta il fatto che Scattone non le abbia mai chiesto scusa. Ma è difficile dare torto al difensore dell’ex assistente, l’avvocato Francesco Petrelli, quando replica: "Di che cosa dovrebbe scusarsi se ha sempre professato la propria innocenza?"»

A vent’anni dall’uccisione di Marta Russo, il rispetto per la sua memoria e per il dolore inconsolabile della famiglia non impedisce oggi di avere rispetto anche per il dramma umano di Giovanni Scattone, condannato come autore di quel delitto.
Possiamo capire e giustificare la reazione della madre della vittima e di quanti ritengono “inopportuno” che ora l’ex assistente di Filosofia del Diritto torni a insegnare in un liceo romano. Ma non si può condividere l’ondata d’indignazione suscitata da questa notizia: né tantomeno le ambiguità o le ipocrisie di chi non se la sente di prendere posizione o comunque trova più conveniente pilatescamente non assumerla.
Mettiamo da parte – allora – i sentimenti e le emozioni, per cercare di ragionare in termini civili. Cioè da cittadini consapevoli e responsabili.
Al termine di un lungo e controverso processo, Scattone è stato condannato per omicidio colposo. Non volontario. Equiparabile a un incidente automobilistico. Un delitto per caso, accidentale, commesso per sbaglio o per errore. Se per la Giustizia è stato lui a uccidere, per quella stessa Giustizia non aveva l’intenzione di uccidere; se ha sparato, l’ha fatto maneggiando incautamente una pistola (mai ritrovata) e sporgendo il braccio da una finestra.
Ormai Scattone ha scontato interamente la pena (cinque anni e quattro mesi), senza beneficiare di amnistie o condoni. Ed è quindi, a tutti gli effetti, un libero cittadino. Per di più, in considerazione della sua buona condotta, è stato formalmente riabilitato dal Tribunale di Roma.
Agli studenti di Giurisprudenza non s’insegna, del resto, che la pena deve servire anche alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società? Quale altro lavoro dovrebbe trovare o inventarsi un ex assistente universitario? L’idraulico, l’elettrauto, il fruttivendolo? O quale materia dovrebbe insegnare al di fuori della sua preparazione, l’educazione fisica o la religione?
Personalmente, avendo seguito a suo tempo il processo e avendone scritto a più riprese su questo giornale, non ho mai sostenuto e nemmeno pensato che Scattone e il suo complice Salvatore Ferraro fossero innocenti. Non lo penso né lo sostengo tuttora. Nell’esercizio del diritto di opinione e di critica, ho sempre ritenuto però che le prove – soprattutto per come sono state raccolte – fossero tardive e contraddittorie. E quindi, insufficienti per condannarli. Pur rispettando la sentenza definitiva della magistratura, continuo a pensarlo ancora oggi.
Non credo neppure che i pubblici ministeri, o i giudici che hanno emesso i verdetti nei vari gradi del processo, abbiano ordito una macchinazione giudiziaria contro di loro. Penso, piuttosto, che sotto la pressione del sistema mediatico, dell’opinione pubblica e anche della politica, i magistrati si siano sentiti costretti a trovare a tutti i costi il colpevole nel più breve tempo possibile. E perciò, continuo a ipotizzare un errore giudiziario, uno dei tanti che costellano purtroppo l’amministrazione della nostra Giustizia.
Tant’è che l’impianto accusatorio proposto dai pm non ha retto in nessuna sede di giudizio. Gli inquirenti non sono mai riusciti a dimostrare davanti a una Corte la tesi dell’omicidio volontario, pur avendo fatto ricorso alle teorie più fantasiose e disparate come quella del “delitto perfetto” o al mito nietzschiano del Superuomo. Alla fine, il reato è stato per così dire derubricato di fatto in omicidio colposo, confondendo prove, testimonianze, intercettazioni, perizie.
È pure legittimo, allora, considerare “assurdo” che Scattone continui a insegnare. I timori o le preoccupazioni manifestate dai genitori di alcuni suoi futuri alunni sono più che comprensibili. Ma non si può fare giustizia sommaria o peggio scambiare la giustizia con la vendetta. E soprattutto, non si può condannare alla morte civile, all’esilio o all’ostracismo, un uomo condannato per un omicidio involontario di cui non ha riconosciuto la responsabilità.
Nel suo dolore di madre, la signora Aureliana lamenta il fatto che Scattone non le abbia mai chiesto scusa. Ma è difficile dare torto al difensore dell’ex assistente, l’avvocato Francesco Petrelli, quando replica: «Di che cosa dovrebbe scusarsi se ha sempre professato la propria innocenza»?
Chi conosce Giovanni Scattone, ricordando anche la sofferenza di suo padre che l’ha difeso fino all’ultimo giorno, ora può solo auguragli di riuscire a redimersi e a riscattarsi definitivamente con il lavoro, l’impegno e la responsabilità.