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 2015  settembre 10 Giovedì calendario

Ecco perché i sondaggi sono inaffidabili. Mannheimer: «Tutte le analisi mostrano come circa il 30% degli italiani abbia maturato la propria decisione definitiva solo negli ultimi quindici giorni prima della consultazione vera e propria. Ma c’è di più: proprio ieri in televisione è stato detto che un certo partito è variato dello 0,2%. Il campione era di 800 unità, ma la metà non aveva risposto. Lo 0,2% dei 400 casi validi è uguale a meno di un individuo. Chissà come ha fatto a rispondere. Resta il fatto che tutta l’informazione – e il conseguente acceso dibattito politico che ne è susseguito – è basata sulla risposta di poche persone»

Con la vera ripresa del dibattito politico (peraltro mai interrottosi neanche in agosto) si è riacceso l’interesse sui sondaggi, soprattutto su quelli relativi alle intenzioni di voto. Ancora negli ultimi giorni, diversi leader hanno citato questa o quella ricerca, sottolineando la presunta ascesa di un partito o il calo di un altro. Tutta questa attenzione alle intenzioni di voto richiede però qualche osservazione critica. Per diverse ragioni.
Una è la relativa scarsa affidabilità statistica delle stime presentate. I campioni intervistati in occasione delle ricerche diffuse dai media sono spesso di misura modesta (800 persone, ma ne ho visti anche da 500). Inoltre, molti intervistati (grossomodo il 50%) non rispondono perché reticenti o, più spesso, indecisi sulla forza politica da votare. È utile ricordare che, da ormai diverso tempo, nel nostro Paese la scelta del voto viene decisa all’ultimo momento: tutte le analisi mostrano come circa il 30% degli italiani abbia maturato la propria decisione definitiva solo negli ultimi quindici giorni prima della consultazione vera e propria. È questo anche uno dei fattori che hanno concorso ai tanto discussi fallimenti della previsione elettorale in Italia e in diversi altri Paesi.
Ma c’è di più: le stime offerte sono spesso inconsistenti statisticamente. Proprio ieri in televisione è stato detto che un certo partito è variato dello 0,2%. Il campione era di 800 unità, ma la metà non aveva risposto. Lo 0,2% dei 400 casi validi è uguale a meno di un individuo. Chissà come ha fatto a rispondere. Resta il fatto che tutta l’informazione – e il conseguente acceso dibattito politico che ne è susseguito – è basata sulla risposta di poche persone.
Ma, al di là della loro fragilità statistica, le inchieste sulle intenzioni di voto sono le meno interessanti. In realtà, non ci si dovrebbe concentrare tanto sullo spostamento (ammesso che sia veritiero) dei consensi di questo o di quel partito, quanto sui motivi che lo causano. Più importante è, in altre parole, comprendere gli atteggiamenti specifici degli elettori sui diversi problemi reali. Cosa pensano gli italiani della nostra politica nei confronti degli immigrati? E delle unioni civili? E delle scelte economiche del governo? Oltretutto, a queste domande la gente risponde con maggiore sincerità e facilità e i risultati sono quindi molto più affidabili. Insomma, i sondaggi sui temi concreti e reali dovrebbero interessare ai leader politici – ma anche ai media – assai più di quelli sulle intenzioni di voto. Non che si debbano necessariamente seguire gli orientamenti espressi dagli intervistati. Ma, certo, occorre tenerne conto in misura assai maggiore di quanto non si faccia per le minute variazioni percentuali dell’uno o dell’altro partito.
Le scuole cadono a pezzi, ma lo Stato regala emolumenti. I manager sono così efficienti e produttivi da meritare – tutti, senza esclusioni – un premio di poco inferiore ai 30mila euro per il lavoro svolto in un anno. Un premio che integra uno stipendio già alto (al netto del premio tra i 50 e i 100mila euro) e che da solo corrisponde alla paga di un impiegato medio.