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 2015  settembre 05 Sabato calendario

Ci sono foto, ci sono video che valgono più di un editoriale, più di mille analisi socio-politiche

Ci sono foto, ci sono video che valgono più di un editoriale, più di mille analisi socio-politiche. Per quanto riguarda i video, si deve cominciare da quelli che in rete mostrano la stazione Keleti di Budapest, ieri. Per apprezzare fino in fondo le immagini bisogna figurarsi di essere un ungherese, che ha bisogno di andare, per esempio, da Budapest a Pécs. In che modo il viaggiatore potrebbe mettersi in fila o comprare un biglietto? O addirittura chiedere informazioni da qualche parte? Una folla sterminata di uomini e donne provenienti da paesi lontani - come si capisce dalle vesti, dal tipo di baffi, dalla pelle bruna, dai poveri zaini, dai veli in capo alle donne - occupa vociando ogni angolo della stazione, sta aggrappata a grappoli alle pertiche dei treni, grida e dialoga a segni con compagni lontani, impedisce a chiunque di partire e Dio solo sa quello che succede a chi arriva. Così le autorità, credendo di risolvere di forza il problema, chiudono tutto, annunciano che nessun treno partirà più, sciò, via, tutti a casa, è inutile aspettare. E qui altri video e parecchie foto ci mostrano quello che è successo a quel punto. Usciti dalla stazione, i migranti, provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Bangladesh, hanno formato quello che qui in Occidente si chiama “corteo” e che c’è sempre parsa la massima dimostrazione di democraticità. Stretti uno all’altro, e senza conoscersi troppo fra di loro, i disperati si sono messi tutti insieme in marcia verso l’autostrada che porta da Budapest a Vienna. Sappiamo che l’hanno raggiunta, irridendo addirittura una povera pattuglia di poliziotti, e mentre scriviamo sappiamo anche che stanno percorrendo questa autostrada, detta M1, tenendosi su un lato della carreggiata in modo da lasciar passare le automobili. Parecchi ungheresi si fermano, e offrono acqua o biscotti. Altri vengono dai campi, scavalcano le barriere, portano anche loro generi di conforto. Da qualche parte la pietà, la solidarietà fra esseri umani esistono ancora. Seguendo quel percorso ci sono, per arrivare a Vienna, 170 chilometri, vale a dire a piedi un paio di settimane. Niente paura, molti di questi disperati sono partiti tre anni fa, due settimane di marcia non fanno impressione a nessuno. Qualcuno morirà per strada, si sa. Ma che importa? Quando arriveranno al confine...

• Già, che succederà quando arriveranno al confine?
Le cosiddette autorità, le stesse che hanno chiuso la stazione, stanno pensando di schierare sul confine austro-ungherese l’esercito. Ma ai poveracci, resi forti dalla loro miseria, basterà sedersi di fronte ai soldati armati fino ai denti e aspettare. Tenere l’esercito schierato è un costo, una fatica, c’è molto da perdere. E questa è la differenza tra i due mondi che si fronteggiano: di là non c’è più niente da perdere, di qua non ci rassegniamo all’idea che sarà necessario perdere molto di quello che abbiamo, se non tutto. La marcia dei migranti è un evento storico, che richiama alla memoria le prediche della sinistra d’un tempo, il proletariato che prende coscienza di sé e del proprio sfruttamento e dà luogo alla cosiddetta lotta di classe. Come non ammettere che questi derelitti sono così poveri anche a causa della nostra immensa ricchezza?  

Non occorre dire che le varie classi politiche sembrano del tutto inadeguate al momento.
Ieri Salvini, confermandosi un leader locale, per non dire rionale, è andato a far visita al Cara di Mineo, rilasciando questa dichiarazione epocale: «Mi farò dare i numeri, saranno solo tre persone che hanno diritto all’asilo, gli altri sono clandestini». Salvini e gli altri non hanno ancora capito che la distinzione tra rifugiati politici e migranti economici è, oltre che sommamente ipocrita, inutile. Sono tutti perseguitati dai quattro cavalieri dell’Apocalisse: la guerra, la fame, la morte, le malattie.

• Gli ungheresi promettono tre anni di galera a chi...
Vadano al confine con l’Austria e portino in prigione le masse. Reintroduciamo, per favore, dal vecchio lessico marxista la parola “masse”. Perché di questo si tratta.  

C’è qualcuno che si rende conto della situazione?
I militari del Pentagono. Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate americane, ha detto: «È un’emergenza enorme, una crisi che durerà vent’anni. È un problema addirittura generazionale». Anche Putin, e sia pure sfruttando la tragedia per far polemica contro quelli che l’hanno sanzionato («è tutta colpa della politica estera dei nostri cosiddetti partner»), ha detto cose su cui varrebbe la pena meditare. «L’unico modo per invertire il flusso di rifugiati in Europa è quello di aiutare le persone a risolvere i problemi a casa loro e il primo passo dovrebbe essere la creazione di un fronte comune e unito contro i gruppi jihadisti come l’Isis».