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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

I tassi al minimo della Bce non bastano da soli al rilancio della crescita europea. L’azione di Draghi può ridurre l’incertezza sui debiti sovrani ma non risolvere ogni problema

La revisione al ribasso delle stime di crescita e di inflazione da parte della Banca centrale europea non giunge come una sorpresa. Sono sotto i nostri occhi fenomeni di natura globale – la vulnerabilità della Cina e dei paesi emergenti, il calo del prezzo del petrolio e altri ancora più profondi – in grado di influenzare dall’esterno sia il tasso di attività dell’economia europea, sia il livello dei suoi prezzi. Prima ancora che sull’economia reale, questi fenomeni si riflettono sui mercati finanziari amplificandone l’instabilità. La Bce è in grado di ridurre l’incertezza dei debiti sovrani che tanto peso ha avuto nella crisi europea degli ultimi anni – ieri infatti ha segnalato di poter incrementare il programma di acquisto di titoli pubblici – ma non può di per sé né assicurare la crescita dell’euro-area, né annullare il calo dei prezzi del petrolio.
Le nuove previsioni della Bce segnalano che in Europa il costo del credito resterà ancora basso. Nella reazione positiva dei mercati finanziari c’è un grado di paradosso, perché il costo dei finanziamenti resterà conveniente, ma nel contesto di economie più deboli. È come se il tasso d’interesse per i mercati finanziari sia diverso da quello che una volta si sarebbe detto di equilibrio per l’economia reale. Comunque li si voglia misurare, i tassi d’interesse non sono mai stati così bassi per così lungo tempo. La Banca dei regolamenti internazionali a metà anno calcolava che nei mesi precedenti erano stati emessi titoli per 2mila miliardi di dollari – prevalentemente da paesi dell’area euro – scambiati sul mercato con rendimenti sotto zero. Ciò nonostante né i debiti privati né quelli pubblici scendono, spesso anzi aumentano in rapporto al reddito. Qualcosa evidentemente non funziona, se politiche del credito tanto accomodanti in tutto il mondo non servono a far crescere le economie. Al contrario, il basso livello dei tassi e l’alto volume di credito talvolta alimentano instabilità finanziarie, o premiano il tipo di impieghi poco produttivo e meno in grado di far accelerare la crescita. In pochi anni abbiamo attraversato tre diverse ondate deflazionistiche – subprime, euro-crisi e ora mercati emergenti – originate da eccessi finanziari.
La contraddizione tra economia reale e finanza ha un suo parallelo anche nei comportamenti della politica. In molti casi, la stabilizzazione garantita dalla politica monetaria ha frenato l’urgenza per i governi nella riforma strutturale delle economie. Il minor costo di finanziamento dei debiti ha permesso di attenuare l’austerità fiscale e ciò ha aiutato a uscire dalla recessione. Ma la crescita dell’economia europea è rimasta troppo debole e i debiti troppo alti.
Chi ritiene che il mondo rischi una stagnazione secolare dovuta a carenza di domanda spinge per mantenere i tassi molto bassi, chi invece ritiene che il problema sia il calo della produttività spinge nella direzione opposta. Strette tra finanza e politica, le banche centrali si trovano nell’impossibilità di ridurre i tassi ma anche di alzarli. Tassi più alti scoraggerebbero l’eccesso di debiti e premierebbero la ricerca di investimenti più produttivi, ma l’alta disoccupazione ereditata dalla crisi necessita di condizioni di credito più agevoli possibili. È una tenaglia da cui è quasi impossibile uscire con gli strumenti monetari.
Per ora la revisione al ribasso della crescita dell’euro-area è solo di un decimo di punto, ma secondo Mario Draghi se le difficoltà dei paesi emergenti non saranno temporanee, il calo potrebbe essere più sensibile. Ci si aspetta dal G-20 di Ankara qualche informazione più precisa sullo stato delle economie cinese, turca e brasiliana. Lo scenario che confortava i governi europei, con una ripresa che andava normalizzandosi anno dopo anno, va per ora tenuto in sospeso. In questo quadro la Bce ha segnalato ieri di preferire un ulteriore allentamento nelle condizioni del credito, con una possibile estensione dell’allentamento quantitativo (QE) nel prossimo futuro.
Maggior credito della Bce può ridurre l’incertezza causata nell’euro-area da mercati finanziari instabili, ma non per forza aumentare la crescita dell’economia. Questo compito spetta ai governi e alle istituzioni europee favorendo gli investimenti e il recupero di produttività. Il complesso quadro globale in cui ci troviamo rappresenta per l’Italia, che tra i paesi europei è quello che più terreno ha perduto in termini di produttività e di investimenti, un segnale di allarme che dovrebbe definire le priorità della politica economica.