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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

Fisco opprimente su lavoro, imprese e casa: il triplice record negativo dell’Italia. La pressione fiscale è cresciuta di due punti negli ultimi quattro anni fino al 43,5%: senza interventi di riduzione nel 2016 è destinata a crescere a 44,1%

Il peso di fisco e contributi sul complesso dell’economia è cresciuto in quattro anni di circa 2 punti percentuali. Ora siamo al 43,5% del Pil e in mancanza di una robusta riduzione del carico fiscale arriveremmo nel 2016 a quota 44,1 per cento.
Un dato, questo della pressione fiscale, fondamentale per i confronti internazionali, che sconta tristemente da noi un eccesso di prelievo per effetto dell’alta evasione, ma che è utile scomporre. In poche parole è altresì importante analizzare la distribuzione del prelievo nel mix tra tasse e contributi, nonché la suddivisione tra le diverse categorie di imposte per basi imponibili omogenee.
Quali tagli alle tasse possono essere considerati «favorevoli alla crescita», per mutuare il linguaggio in uso a Bruxelles? Di certo un piano di tagli va proiettato su un orizzonte quanto meno triennale: prima le tasse sulla casa, nelle intenzioni del Governo, poi quelle sulle imprese e infine sui redditi.
Un quadro delle possibili priorità è offerto sia dalla composizione del prelievo sia dal confronto internazionale. Come mettono in luce i dati Ocse elaborati dall’Ufficio studi della Confcommercio, il totale delle imposte sui redditi, profitti e capital gains vede l’Italia attestata al 14,2% del Pil, contro il 10,9% della Francia, l’11,4% della Germania e il 9,6% della Spagna.
Nel 2014 – rileva la Corte dei Conti – il cuneo fiscale sul lavoratore senza carichi di famiglia vede l’Italia collocarsi al sesto posto nella graduatoria dei 34 paesi Ocse, con un valore (48,2%) superiore di oltre 12 punti rispetto alla media. Stando alle indicazioni provenienti da gran parte delle istituzioni internazionali, le categorie di imposta che più ostacolano la crescita sono quelle sui redditi d’impresa, seguite dai redditi da lavoro, dalle imposte sui consumi e dalle imposte patrimoniali.
Per Eurostat, l’aliquota implicita di tassazione in Italia è del 42,8% sul lavoro (contro il 36,2% della media Ue), del 26,5% sull’impresa (contro il 16,2% della media Ue), del 17,7% sui consumi (contro il 19,8% della media Ue) e dell’1,6% sugli immobili (l’1,5% a livello europeo). Se questi sono i dati, poi evidentemente si tratta di operare delle scelte, che rientrano nel dominio dei governi alla luce della situazione congiunturale dei singoli paesi.
Nel caso dell’Italia, il pendolo delle priorità cade al momento sul taglio del prelievo sugli immobili, e non mancano importanti motivazioni a sostegno di tale scelta. L’Imu (di fatto una patrimoniale sulla casa) vale ben 19,1 miliardi di gettito, cui vanno aggiunti i 4,6 miliardi della Tasi. Il totale dell’intero capitolo delle tasse sulla casa si è attestato nel 2014 a 25,2 miliardi, il 15% in più rispetto all’imposta sulla prima casa abolita nel 2013. Al prelievo complessivo sugli immobili spetta dunque un ruolo di primo piano nel totale delle voci che compongono il nostro sistema fiscale. È ancora la Corte dei Conti nel Rapporto 2015 sul Coordinamento della finanza pubblica a sottolineare come sette anni di manovre abbiamo consegnato al 2015 un sistema impositivo, rispetto al 2007 ultimo anno pre-crisi, basato «su aumenti sul patrimonio immobiliare, sui consumi e sulle rendite, senza che a ciò si accompagnasse un’equivalente riduzione del prelievo sui fattori produttivi».
I dati Confcommercio confermano che le imposte sugli immobili ammontano all’1,2% del Pil, contro lo 0,4% della Germania, l’1,1% della Spagna e il 2,5% della Francia. Quanto ai contributi sociali, siamo al 13%, rispetto al 16,8% della Francia e al 14% della Germania, mentre per la tassazione sulle imprese (da noi l’Ires) siamo al 3%, contro il 2,6% della Francia e l’1,8% della Germania, con l’avvertenza che da noi occorre aggiungere il peso dell’Irap, che vale circa due punti di Pil. La composizione interna del gettito conferma il peso preponderante dell’Irpef, che vale (dati 2014 del Dipartimento delle Finanze) 163,7 miliardi, cui vanno aggiunti i 10,9 miliardi dell’addizionale regionale e i 4,4 dell’addizionale comunale, con l’Ires a quota 32,3 miliardi e l’Iva a 114,4 miliardi. La torta della composizione del gettito vede l’Irpef al 39,1%, l’Ires al 7,7%, l’Iva al 27,3 per cento.
Una volta stilato l’elenco delle priorità, occorrerà ponderarne attentamente l’effetto. Lo ha detto molto chiaramente il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel suo intervento al Meeting di Cl a Rimini lo scorso 26 agosto. Non è affatto detto che a una riduzione del prelievo fiscale corrisponda hic et nunc un effetto moltiplicatore sulla domanda interna. Lo si potrà avere solo se i contribuenti avranno la percezione che si tratta appunto di una misura a carattere permanente. Nessun altro dietro front, in poche parole. E poi il sistema tributario va semplificato al massimo. È la stessa Corte dei Conti a ricordarci che tra il 2008 e il 2014 sono state varate ben 700 misure «di intervento fiscale».