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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

Inchiesta Mafia Capitale, Salvatore Buzzi chiede di patteggiare. L’ex capo delle Coop ci riprova: «Come dimostra il mancato scioglimento del Campidoglio, qui non operavano le cosche». L’istanza di scarcerazione: nessun pericolo di reiterazione sono pronto a scontare una pena di tre anni e nove mesi

«Il Comune di Roma non è stato sciolto per mafia; il prefetto si è impegnato di passare a controllo ogni appalto; l’assessore alla legalità del Campidoglio, il magistrato Alfonso Sabella, ha dichiarato senza mezzi termini che la Mafia Capitale ormai è morta e sepolta e Salvatore Buzzi, ormai spogliato da ogni carica societaria, sta collaborando coi magistrati, pur non ritenendosi un mafioso». Tanto è bastato per spingere l’imputato, considerato dalla procura di Roma il ras delle cooperative e il braccio economico del clan Carminati, che a novembre vedrà 59 persone a processo, a chiedere la revoca della misura cautelare in carcere, nel suo caso Badu ’e Carros, nel cuore della Sardegna. Una carta calata dal difensore, l’avvocato Alessandro Diddi, subito dopo l’avvio della”collaborazione” di Buzzi coi magistrati. Agli atti ci sono cinque verbali nei quali viene ricostruito il sistema politico corrotto della capitale, da foraggiare per lavorare e far soldi. Fatti preceduti da una lettera di pentimento spedita al Papa e dalle dimissioni da qualsiasi incarico nelle cooperative di cui era patron indiscusso. Per la difesa, insomma, il pericolo di reiterazione del reato è ormai svanito, considerato anche che la gestione del satellite di cooperative è da un pezzo passata in mano ad amministratori giudiziari.
IL”PATTO”
Buzzi, però, ha tentato anche un’altra mossa per alleggerire la situazione giudiziaria. Oltre all’istanza di scarcerazione al gip Flavia Costantini, che lo ha arrestato a dicembre, si è rivolto anche alla procura per proporre un patteggiamento della condanna a 3 anni e 9 mesi di carcere e il pagamento di una multa di mille euro. Una proposta al vaglio ora dei pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini, titolari della maxi-inchiesta, che difficilmente verrà accolta se si considera il precedente rifiuto dello scorso giugno quando Buzzi puntava a una condanna a tre anni e mezzo. La proposta di patteggiamento, d’altra parte, è sostanzialmente la stessa. Esclude l’accusa di mafia e ripropone una condanna solo per associazione per delinquere semplice, corruzione, turbativa d’asta e intestazione fittizia di beni. L’aggravante del metodo mafioso, invece, è considerata dalla procura il perno dell’indagine, visto che, secondo i magistrati, Buzzi è a capo, assieme a Carminati, di un’associazione che si è avvale della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà per commettere una sfilza di reati.
LE ALTRE RICHIESTE
L’avvocato Diddi, che ha presentato analoga richiesta di scarcerazione anche per la compagna di Buzzi Alessandra Garrone e per i collaboratori Paolo Di Ninno e Emanuela Bugitti, ritiene infatti che «la situazione delle accuse deve essere rivista anche alla luce delle trasformazioni che le varie articolazioni delle pubbliche amministrazioni hanno subito nel corso dei mesi dopo le retate. Tanto che non è stata adottato nei confronti del Campidoglio lo scioglimento per mafia». Il Comune di Roma infatti, secondo il legale, nel rinnovare la giunta capitolina ha istituito un nuovo assessorato alla legalità, affidato al magistrato Sabella. È stato proprio quest’ultimo, a fine agosto, ad sostenere che «il fenomeno di mafia capitale è morto e sepolto» e per i romani si tratta «solo di un ricordo». Nel frattempo l’unica indagata a spuntare la revoca della misura è stata la segretaria di Buzzi, Nadia Cerrito, ormai libera dopo aver ricostruito la gestione della contabilità in nero delle cooperative, da cui, secondo la procura, Buzzi attingeva a piene mani per pagare Carminati e i favori dei politici.